Il premio Nobel Eric Maskin: «Taglio dei debiti? Prima viene l’occupazione»

Il premio Nobel Eric Maskin: «Taglio dei debiti? Prima viene l’occupazione»
di Michele Di Branco
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Domenica 21 Dicembre 2014, 17:30 - Ultimo aggiornamento: 27 Dicembre, 17:10
«Credo che lo spettro del default, che effettivamente si aggirava in Europa fino ad un paio di anni fa, sia ormai definitivamente alle spalle». Eric Maskin è convinto che l’Italia abbia le carte in regole per tirarsi fuori dalla crisi. Ma il premio Nobel 2007 per l’economia invita il Paese a uno scatto d’orgoglio sul piano delle riforme e degli investimenti pubblici.



Professor Maskin, lo spread dei titoli di Stato italiani è in forte calo: davvero è solo merito dell’azione della Banca centrale europea?

«Direi che l’azione di Mario Draghi, che io considero comunque un pò tardiva, è stata importantissima per tutta l’Eurozona. Spero che il lavoro che Francoforte sta facendo possa contribuire anche in futuro a impedire che la speculazione sui titoli di Stato possa avere effetto sui Paesi più esposti, come l’Italia. Quando il governatore disse che la Banca centrale userà tutti i mezzi a disposizione per sostenere l’euro, le cose sono migliorate. Ed io sono convinto che i rischi più rilevanti per la tenuta del debito pubblico siano alle spalle».



Dunque lei è ottimista?

«C'è molto pessimismo in giro ma io credo che l'Europa abbia tutti i mezzi per riprendersi in fretta. E' importante tuttavia che si tolga ogni dubbio circa la tenuta del debito sovrano dei singoli paesi e la strada migliore per arrivare a questo obiettivo è introdurre gli eurobond. Se si arrivasse a introdurre questi titoli i timori circa un eventuale default cesserebbero immediatamente e da un giorno all'altro si registrerebbe un forte calo del costo dei finanziamenti ovunque».



La crisi però continua ad affliggere l’Europa e l’Italia in particolare. Quali politiche bisogna adottare per superarla?

«Ritengo sia opportuno un forte intervento pubblico per dare sostegno alla ripresa. A cominciare dall’adozione di una strategia mirata di investimenti in progetti infrastrutturali. La questione, ovviamente, non riguarda solo l’Italia, ma l’Europa intera. Inoltre bisogna investire nelle energie alternative che rappresentano una fonte di crescita molto importante. Infine credo che le economie avanzate, tra le quali l’Italia, debbano affrontare seriamente il problema della crescita della disuguaglianza in campo sociale perché una società dove si acuiscono le ingiustizie non ha alcun futuro. E non parlo soltanto di questioni economiche e di reddito personale ma anche dell’accesso all’istruzione da parte delle fasce più deboli».



Insomma, lei ritiene che il mercato non possa risolvere da solo i problemi sul tappeto a livello globale. È così?

«Si tratta di una terribile illusione pensare che il mercato possa risolvere le cose: i delicati processi di cambiamento ai quali stiamo assistendo hanno bisogno di essere governati. Senza investimenti pubblici che devono essere finanziati anche con un taglio alla spesa improduttiva non ci sarà possibilità di vedere alcuna ripresa. Sarebbe inaccettabile ripetere gli errori del passato lasciando che sia il mercato ad autoregolarsi producendo crescita e nuove opportunità. La crisi nasce dall’inadeguatezza delle regole sul funzionamento dei sistemi bancari mentre gli istituti di credito hanno accumulato troppe passività. Provocando così effetti negativi a cascata su tutti gli altri settori. E coinvolgendo anche l’Europa, che oggi a sua volta avrebbe bisogno di meccanismi di reazione assai differenti».



Da diverso tempo lei sostiene che la moneta comune non basta e che bisogna creare gli Stati Uniti d’Europa. Non ha cambiato idea?

«Assolutamente no. Solo con un’unica strategia fiscale i Paesi più deboli riusciranno a superare la crisi. Sino a questo momento il disegno del meccanismo fiscale è stato pessimo. Così come esiste la Bce, c’è necessità di un solo ministro delle Finanze europeo con sistemi tributari comuni. E con un’unione fiscale reale, effettiva, non demandata ai singoli governi nazionali. Con la creazione degli Stati Uniti d’Europa ci sarebbero sistemi fiscali raccordati, omogenei. Tali da poter esercitare non solo un controllo generalizzato, ma da permettere in maniera più semplice anche il trasferimento delle risorse in favore dei Paesi in maggiore difficoltà».



Lei prima ha fatto accenno all’accentuarsi progressivo delle disuguaglianze in campo sociale. Cosa è necessario fare per superarle?

«La questione della sostenibilità dello Stato sociale si sta facendo veramente drammatica negli ultimi 25 anni e sono convinto che nell’immediato si debba intervenire perché la gente non perda terreno, dando chance a chi rischia l’emarginazione dalla società civile. In una prospettiva di maggior respiro nel tempo mi sembra indispensabile dare efficaci risposte per superare davvero il problema. Qui come altrove nel mondo penso all’educazione sociale e alla formazione professionale. Dobbiamo sempre tentare d’includere, non escludere. Ma una volta individuate le cause da rimuovere sul piano economico, ciascuno deve prendere in cura se stesso, deve aiutarsi a uscire dalla crisi».



Lei crede che la ricetta rigorista della Germania sia corretta in questa fase?

«Ovviamente la tenuta dei conti pubblici è fondamentale e in Europa si è deciso che l'obiettivo principale dell'azione dei governi debba essere la riduzione del debito e il pareggio di bilancio. Sono un economista e so bene che il debito deve essere ridotto, ma non credo sia questa la priorità quando ci sono milioni di disoccupati. La verità è che adesso sono i poveri a soffrire, non certo i ricchi. L'austerity fine a stessa è un errore e rischia di impedire la ripresa e la crescita, che devono essere le vere priorità dei governi. In questa fase, la scelta del rigore può rivelarsi tragica: prima bisogna abbassare il tasso di disoccupazione e soltanto dopo si potrà pensare alla riduzione del debito e al pareggio di bilancio».