Gianfranco Fini, chiesti 8 anni per la casa di Montecarlo. Per Elisabetta Tulliani richiesta di 9 anni: «Gli nascosi le origini del denaro»

Imputato nel processo legato all'acquisto di un appartamento a Montecarlo

Gianfranco Fini in tribunale per la casa di Montecarlo, chiesti 8 anni di condanna. Elisabetta Tulliani: «Mio fratello spregiudicato»
di Valeria Di Corrado
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Lunedì 18 Marzo 2024, 14:36 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 11:34

Siamo a un passo dall’epilogo giudiziario dell’opaca operazione di compravendita dell’appartamento di Montecarlo lasciato in eredità nel 1999 dalla contessa Annamaria Colleoni all’ormai defunto partito di Alleanza Nazionale. Ieri, i pm Barbara Sargenti e Maria Teresa Gerace hanno chiesto ai giudici della quarta sezione penale del Tribunale di Roma la condanna a 8 anni per l’ex presidente della Camera Gianfranco Fini, accusato di riciclaggio in concorso con la compagna, il cognato e il suocero. Per Elisabetta Tulliani sollecitata la pena di 9 anni, per il fratello Giancarlo Tulliani (tuttora latitante a Dubai) la reclusione a 10 anni e per il padre Sergio Tulliani a 5 anni. In aula era presente l’ex leader di An, insieme alla sua dolce metà. «Era scontato che l’accusa chiedesse la condanna - ha commentato Fini - Continuo ad avere fiducia nella giustizia, in ragione della mia completa estraneità alle accuse».

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La compagna, che durante le indagini preliminari si è sempre avvalsa della facoltà di non rispondere, ieri ha deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee al collegio, scaricando tutta la responsabilità su suo fratello. «Ho nascosto a Fini la volontà di Giancarlo di comprare la casa di Montecarlo, né gli ho mai detto la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello - ha spiegato Elisabetta, lasciandosi andare alla commozione - Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita».

La stessa versione era stata sostenuta in aula a marzo 2023 dall’ex presidente della Camera: «Sono stato ingannato da Giancarlo e dalla sorella Elisabetta. Solo anni dopo ho scoperto che il proprietario della casa era Tulliani e ho interrotto i rapporti con lui». Ma con la compagna non li ha mai interrotti, nonostante il contraccolpo politico subito in seguito all’inchiesta. 

L’IMPIANTO ACCUSATORIO
Inizialmente nel processo erano imputate altre persone, tra cui Amedeo Laboccetta, ex deputato del Pdl, e il “re delle slot” Francesco Corallo, titolare di un’impresa concessionaria di gioco legale. Quest’ultimo era stato arrestato il 13 dicembre 2016 a Sint Maarten, nelle Antille olandesi, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al peculato, al riciclaggio e alla sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte. Ma nell’udienza dello scorso 29 febbraio il collegio ha dichiarato prescritto il reato di associazione a delinquere. Secondo l’originario impianto accusatorio, Corallo non avrebbe pagato allo Stato italiano 85 milioni di euro di tributi erariali e una parte di quei soldi sarebbe finita, attraverso un intricato giro societario ricostruito dai finanzieri dello Scico, in tre off shore: Printemps Ltd, Timara Ltd e Jayden Holding Ltd, riferibili ai fratelli Tulliani. La Printemps era stata utilizzata per far comprare nel luglio del 2008 al cognato dell’allora segretario di An il famoso appartamento monegasco di boulevard Princesse Charlotte, a soli 300 mila euro, poi confluito in un’altra società schermata riconducibile a Elisabetta Tulliani, la Timara Ltd. Poi c’è l’accusa di autoriciclaggio, perché l’immobile «è stato rivenduto - si legge negli atti - il 15 ottobre 2015 per un milione e 360 mila euro, somma che è transitata prima sul conto corrente francese di Giancarlo Tulliani, e poi è stata trasferita in parte al conto di Dubai e in parte al conto italiano Mps» entrambi intestati al cognato di Fini. Quest’ultimo ha poi provveduto a “rigirare” la metà di quella somma alla sorella, in due tranche: sul conto corrente Mps intestato a Elisabetta sono stati accreditati 290 mila euro il 24 novembre 2015 e altri 449 mila euro il successivo 10 dicembre. Due giorni dopo aver saputo di essere indagato, Giancarlo partì per gli Emirati: da allora, ossia dal 15 dicembre 2016, non è mai più tornato in Italia.

Rientra nella contestazione di riciclaggio anche il bonifico da 2,4 milioni di euro con la causale «liquidazione per il decreto 78 del 2009» arrivato dalle società di Corallo sul conto corrente di Sergio Tulliani, impiegato dell’Enel in pensione, proprio in concomitanza con l’approvazione del decreto legge che «apportava - si leggeva negli atti - enormi vantaggi a Corallo perché gli offriva la possibilità di offrire in pegno i diritti sulle videolottery». Il denaro a lui bonificato, Tulliani lo ha poi girato ai figli: a Elisabetta 550 mila euro e a Giancarlo 1,2 milioni di euro, tramite 12 assegni da 100 mila euro ciascuno. I reati contestati, secondo il gip Simonetta D’Alessandro che firmò l’ordinanza cautelare, «avrebbero connotato un’intera fase politica, toccando in profondità l’ordinamento economico dello Stato». Secondo i pm, Corallo e Fini erano legati da un rapporto di amicizia: l’imprenditore catanese ospitò Fini in vacanza a Sint Maarten e quest’ultimo lo invitò nel 2009 a Montecitorio per il battesimo della seconda figlia avuta da Elisabetta. La sentenza è attesa il 18 aprile. 
 

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