Nymphomaniac vol. 2, Lars Von Trier supera se stesso

Jamie Bell, da protagonista di Billy Elliot a sadico per Lars Von Trier
di Fabio Ferzetti
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Venerdì 25 Aprile 2014, 18:18 - Ultimo aggiornamento: 18:32
Se avete visto il primo episodio, non perdete il secondo. Stavolta Lars Von Trier va fino in fondo. «Capii che nella società non c’era posto per me. E che in me non c’era posto per la società». La battuta chiave arriva nella seconda metà del film, ad accompagnare una vera e propria discesa agli inferi. Non del sesso, o meglio non solo del sesso, ma del crimine organizzato. Perché rifiutare le forme codificate e comunemente accettate della sessualità, significa esporsi anche a questo. Alla sopraffazione, al delitto, alla legge del più forte. Insomma al potere, che come ammoniva Jung, è l’opposto dell’amore. Allacciate le cinture: dopo aver visto la seconda parte, il primo Nymphomaniac diventa poco più che un preambolo, ma soprattutto cambia retroattivamente di intensità e significato. Il “volume 2”, in sala da domani, spinge infatti fino in fondo l’itinerario di Joe, l’erotomane che passa dal fisico acerbo di Stacy Martin a quello più segnato dell’intrepida Charlotte Gainsbourg.



UMORISMO

Non è un viaggio per tutti, ma è un viaggio che getta una luce cruda, abbagliante, e qua e là sorprendentemente umoristica, su un mondo che il cinema esplora di rado nonostante il proliferare di immagini pornografiche. Anche perché più forte è il flusso indifferenziato di immagini pornografiche e spersonalizzate in cui siamo ormai immersi, meno siamo attrezzati a ricondurle a una specifica soggettività. E in fondo con il suo “mille e un amplessi” in due puntate, che naturalmente va ben oltre la semplice provocazione, Lars Von Trier fa proprio questo. Costruisce un personaggio, ovvero un percorso - psicologico, morale, esistenziale - dotato di coerenza e profondità. Con cui ognuno di noi, se abbassa un minimo le difese, è chiamato a fare i conti. Un po’ come faceva Haneke in La pianista, se vogliamo, ma con una differenza fondamentale. Haneke riprendeva tutto dall’esterno, come un entomologo, o un narratore onnisciente che si arrende di fronte al mistero della sua protagonista, limitandosi a registrarne i comportamenti con freddezza e rigore.



MISTICA

Von Trier invece mette in scena il racconto della (presunta) perversione di Joe, affidando la ricerca del senso delle sue azioni alla protagonista stessa, sia pure affiancata dal maturo Seligman (Stellan Skarsgård), il soccorritore che ascolta, interpreta, commenta i suoi ricordi. Proponendone una lettura intellettuale che la prima parte invitava a prendere sul serio e questa, almeno in parte, espone al rischio del ridicolo. Non tutti seguiranno il danese su questa strada, che si apre con una scena mai vista al cinema, un orgasmo spontaneo e quasi mistico della piccola Joe a 12 anni (ma senza perversione o voyeurismo: la scena, poetica e sorprendente, rinvia alle sante in estasi della nostra tradizione pittorica e scultorea, malgrado la giovanissima età del personaggio). Per chiudersi due ore più tardi su un’imprevedibile e in qualche modo ironica resa dei conti. Passando in rassegna, nel frattempo, tutto il repertorio del sesso estremo, con deviazione non casuale nel crimine, rievocato da Joe/Charlotte Gainsbourg senza sconti per gli spettatori né per se stessa.



SADOMASO

E dunque via con bondage e rituali sadomaso, fino a far saltare brandelli di carne viva dalle natiche della consenziente Joe, che nella sua inesausta ricerca del piacere perduto lascia solo a casa di notte il bambino nato nel frattempo dal matrimonio con Shia LaBeouf (altra nota ironica: il sadico che stringe nodi sapienti e maneggia il frustino per le clienti che siedono frementi in sala d’aspetto come fossero dal dentista, è il qui non così tenero Jamie Bell, l’aspirante ballerino di Billy Elliot...).



MATERNITA'

Dal parto cesareo, che Joe vede “in diretta” riflesso sulla lampada, al neonato sotto la neve di Antichrist, citato quasi alla lettera, la maternità (l’incapacità di farsene carico) è infatti uno degli assi portanti del racconto. Ma Von Trier non giudica mai la sua eroina, anche quando è indifendibile. Piuttosto, la cala con una punta di sadismo in situazioni sempre più insostenibili. Come quando, su indicazione del gangster Willem Dafoe, prende a proteggere la sventurata figlia di una coppia di delinquenti per farne la sua complice, con esiti del tutto imprevedibili.



SESSO E PAROLE

Oppure la chiude in camera da letto con due africani che invece di tuffarsi nell’amplesso a tre si lanciano in una lunga e incomprensibile discussione in qualche impenetrabile lingua africana (una delle scene più crude, angosciose e insieme divertenti che si siano viste in questi anni). Se ne esce scossi, non solo per la densità e la bellezza delle immagini (non dimenticheremo tanto presto l’incontro di Joe, profetizzato dal padre, con l’albero in cui si specchia la sua anima), ma per i continui e vertiginosi salti di registro. Con cui l’autore riesce a farci aderire sempre e comunque, malgrado tutto, al punto di vista di Joe. Non era davvero impresa da poco.
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