Superbonus, i 160 miliardi che nessuno si vuole intestare

Scintille tra il governo e la Banca d’Italia, ma sull’incentivo impazzito gli allarmi sono arrivati fuori tempo massimo

Superbonus, i 160 miliardi che nessuno si vuole intestare
di Andrea Bassi
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 23:52

Il Superbonus chi? Il gioco del cerino, l’io non c’ero e se c’ero guardavo da un’altra parte, va avanti da un bel po’ di tempo. Di pari passo con un’altra pratica sportiva in gran voga: lo scaricabarile. C’è poco da stupirsi. Nessuno vuole prendersi la responsabilità di un fardello di 160 miliardi caricato sui conti pubblici italiani (220 se si contano gli altri bonus) e che ora lo Stato fa fatica a sostenere. O meglio, uno c’è che rivendica con orgoglio di aver “inventato” un incentivo più alto della spesa che deve sostenere: il Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte. Ma i pentastellati sono i teorici della moneta fiscale, per cui ogni cittadino può creare i soldi che gli sono necessari per ristrutturare casa.

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Tutti gli altri, in questi anni, si sono girati dall’altra parte o, al massimo, hanno abbaiato alla luna. Anche quando i segnali che qualcosa non andava erano chiari. Così ieri, il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, che del Superbonus ha detto tutto il male possibile e ha provato in tutti i modi a chiudere i recinti prima che i buoi uscissero, ha risposto sarcastico a chi gli ha fatto notare la richiesta di Bankitalia di mettere subito fine all’incentivo se anche il nuovo decreto del governo dovesse fallire nella stretta.

La proposta? «Sarebbe stata gradita se fosse stata avanzata nel 2022 o nel 2023, mentre arriva nel 2024 quando il governo sta esattamente procedendo a fare questo», ha risposto Giorgetti.

I PASSAGGI

Potevate dirlo prima insomma. Ma prima quando? Quando per esempio si iniziò a comprendere che la misura, creata dal governo Conte durante il lockdown del 2020 per rilanciare l’edilizia, aveva delle maglie così larghe da consentire truffe inimmaginabili. Alla fine del 2021 a Palazzo Chigi c’era l’ex banchiere centrale Mario Draghi. Sulle agenzie passò una notizia che aveva quasi dell’incredibile. Un gruppetto di persone era riuscita a scontare alle Poste e in banca quasi 1,2 miliardi di euro di fatture per presunte ristrutturazioni inesistenti. È come se a Sansevero, provincia di Foggia, si fosse insediata una filiale della Bce. Daniele Franco, ministro dell’Economia di quel governo, ex direttore della Banca d’Italia e già Ragioniere dello Stato, sentenziò che «il bonus rappresenta una truffa tra le più grandi che la Repubblica abbia mai visto». E inoltre il conto delle uscite per lo Stato già aveva iniziato a lievitare rapidamente. Già allora l’Enea aveva avvertito che in soli sei mesi la spesa si era triplicata, passando da 6 a 18 miliardi. Cosa fece di fronte a questi allarmi il governo? Provò a bloccare le cessioni multiple del credito. Con un decreto stabilì che se ne poteva fare solo una. Poi però diventarono due e tre. E la giostra ricominciò. Anzi, il governo Draghi decise anche di prorogare la misura fino a tutto il 2023 e avviare una riduzione delle percentuali di sconto solo a partire dal 2024. Di più non si potè fare. Perché? Questione politica. Una delle gambe principali del governo guidato dall’ex banchiere centrale era proprio il Movimento Cinque Stelle.

Che mise subito in chiaro che la pietra fondante del governo Draghi avrebbe dovuto essere proprio la proroga del 110 per cento. I grillini, ad aprile del 2021, fecero slittare uno dei primissimi consigli dei ministri dove si doveva discutere del Pnrr da mandare in Europa e decidere del destino del 110 per cento, con queste parole: «Il Superbonus del 110 per cento è una misura creata dal Movimento, la sua proroga è indispensabile per la transizione ecologica. Si ricorda che proprio la transizione ecologica è la materia che ha fatto nascere questo governo». Quindi Draghi, anche se «riluttante», come spiegò lui stesso, dovette concedere quanto richiesto dal Movimento. «Draghi», ha scritto l’economista Veronica De Romanis nel suo libro “Il pasto gratis”, «era certamente la persona più indicata per imporre un cambio di rotta. E, quantomeno, per spiegare che un’agevolazione con un’aliquota superiore al cento per cento non esiste in nessun Paese al mondo e che, quindi, andava ridotta immediatamente». Ma, riconosce De Romanis, se ciò non è avvenuto «è anche a causa di una coalizione che, nell’emergenza, riunisce forze politiche contrapposte».

LA DURATA

Il Superbonus, insomma, sarebbe dovuta essere una misura temporanea, di breve durata, ma che per esigenze politiche nessuno è riuscito a bloccare. Così sul banco degli imputati ci sono finiti i tecnici. A partire dal Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta, accusato di aver sottostimato sistematicamente l’impatto sui conti pubblici inizialmente previsto in “soli” 35 miliardi di euro. È però vero che le continue proroghe del 110 per cento sono state rese possibili fino ad oggi dalla sospensione delle regole europee sui conti pubblici.

Quelle stesse regole che ora, in una nuova versione, stanno tornando in vigore e costringono a fare i conti con il principio di realtà. Solo che adesso per Giorgetti è come rimettere il dentifricio nel tubetto. Compito ingrato, perché chiudere oggi il bonus è ben più doloroso che se fosse stato fatto qualche anno fa.

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