Scompare Maurizio Pollini, leggendario pianista dei due mondi: rivoluzionò la percezione di Chopin e Beethoven, promosse l’ascolto di autori contemporanei

Intellettuale, schivo: è morto il leggendario pianista Maurizio Pollini, italiano, tra i più grandi al mondo. E lascia in eredità la sua visione della musica, vissuta anche come strumento di trasformazione della società. Il cordoglio di Mattarella, sui social lo salutano Allevi e Piovani

Il pianista Maurizio Pollini scomparso sabato 23 marzo a 82 anni
di Simona Antonucci
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Domenica 24 Marzo 2024, 14:26 - Ultimo aggiornamento: 14:27

Colto, anticonformista, profondo innovatore, interprete capace di rivoluzionare la percezione di Chopin e di promuovere l’ascolto di autori contemporanei. Intellettuale, schivo, pronto a mettersi sempre in gioco, ma mai in mostra: è morto il leggendario pianista Maurizio Pollini, italiano, tra i più grandi al mondo. E lascia in eredità la sua visione della musica, vissuta anche come strumento di trasformazione della società.

LA MALATTIA

Si è spento a 82 anni (compiuti il 5 gennaio) nella sua casa milanese accanto alla moglie Marilisa e al figlio Daniele, anche lui musicista. Era malato da tempo e per motivi di salute aveva cancellato gli ultimi concerti in programma. La camera ardente, come già avvenuto per Carla Fracci, si terrà alla Scala dalle 10 alle 14 di martedì (l'altra sera è stato ricordato con un minuto di silenzio), teatro a cui Pollini era legatissimo e dove debuttò sedicenne, nel 1958, eseguendo in prima assoluta la Fantasia per pianoforte e strumenti a corda di Ghedini diretto da Thomas Schippers e dove tornò costantemente per oltre 150 tra recital e concerti da solista o con i direttori più importanti, a cominciare dall’amico Abbado.

I SALUTI

Lo salutano il Presidente Mattarella: «Un poeta del pianoforte che nei suoi lunghi anni di straordinaria carriera ha dato lustro all’Italia sulla scena artistica internazionale».

E il ministro Sangiuliano: «Per oltre mezzo secolo ha conquistato le platee dei teatri del mondo intero». Il sovrintendente di Santa Cecilia Dall’Ongaro «piangiamo la scomparsa di un pezzo di fondamentale importanza della cultura del Novecento». Il maestro Chailly: «il sodalizio con Pollini è stato intenso, frequente ed elettrizzante». Giovanni Allevi che sui social scrive «Così come, grazie a Kant e Platone, ho fede nell’immortalità metafisica dell’anima, il maestro Pollini dimostra la permanenza eterna dell’Arte e della Bellezza nella storia futura dell’umanità». E Nicola Piovani su X: «Quando gli artisti giganti volano in cielo, sulla terra rimane un vuoto amaro».

LO ZIO FAUSTO MELOTTI

Nella sua lunga e gloriosa carriera ha suonato nelle più grandi sale da concerto al mondo, inaugurò a Roma il Parco della Musica, progettato dall’amico Renzo Piano, e tornò continuamente nella Capitale, ospite dell’Accademia di Santa Cecilia. Ma si esibì anche nelle scuole di periferia, in fabbriche occupate, coltivando la passione per l’arte insieme con la passione civile. E l’amore per il nuovo, ereditato dalla famiglia. Il papà Gino era un grande architetto, tra i fondatori del Movimento Razionalista italiano, sua madre, Renata, era musicista e suo zio il noto scultore, Fausto Melotti: «Sono cresciuto», raccontava il maestro, «in un ambiente di entusiasmo per l’arte in genere. Mio padre suonava il violino, mamma amava cantare, mio zio suonava il pianoforte e considerava la musica una grande fonte d’ispirazione per i suoi lavori. Quello che ricordo bene e con piacere è il loro entusiasmo per il moderno».

Schoenberg e Boulez

Pollini ha, infatti, sempre unito alla passione per il grande repertorio pianistico (la sua incisione del ciclo completo di Notturni di Chopin è stata un successo nella discografia italiana di musica classica senza precedenti), la vocazione per la musica contemporanea, da Schoenberg a Boulez, tenendo a battesimo opere di musicisti dei nostri giorni. Per anni impegnato nel “Progetto Pollini”, ha ideato concerti in cui in cui proponeva Beethoven, insieme con Berio e Nono. «Eseguire la musica contemporanea in prestigiose sale da concerto è necessario», ripeteva, «il fatto che succeda di rado dipende dalla nostra situazione culturale. Assistiamo a un inedito distacco tra ciò che viene prodotto dagli autori dei nostri tempi e il pubblico. Mai accaduto nel passato. Tutto questo dovrebbe cambiare». Dotato di una tecnica sbalorditiva, impeccabile ci teneva a sottolineare di non aver mai fatto «esercizi tecnici», ma di essersi esercitato nella musica. E sul rapporto tra le mani e il cuore di un pianista spiegava: «Si dà per scontato che l’interpretazione debba venire dal cuore, ma non è vero, può venire da tante altre parti del corpo».

RUBINSTEIN

A lanciarlo, giovanissimo, nella leggenda, Arthur Rubinstein che lo ascoltò durante le selezioni del Concorso Chopin a Varsavia e disse: “Questo giovane suona già meglio, tecnicamente, di tutti noi”. Frase che Pollini, scherzando, considerava «manomessa. Rubinstein sottolineò “tecnicamente” perché la sua era una presa di posizione ironica nei confronti della giuria. Poi, certo, era anche un complimento nei miei confronti». La “chiamata” arrivò a Varsavia, al concorso Chopin, «se c’è stato un momento chiave, è stato quello. Suonavo anche prima, con passione. Ma lì ho visto la mia posizione di pianista con chiarezza». Sacrifici «mai sentiti, forse da ragazzo qualche volta. La musica non mi ha mai stancato. Con l’età, ha ragione Martha Argerich, bisogna lavorare di più. Il tempo passa, lascia cose belle, ma purtroppo passa».

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