Zucchero: «A Londra pensai al suicidio, poi trovai la luce. Morirò sul palco, ma non suonerei mai per Putin né per Trump»

Zucchero: «A Londra pensai al suicidio, poi trovai la luce. Morirò sul palco, ma non suonerei mai per Putin né per Trump»
di Mattia Marzi
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Martedì 2 Aprile 2024, 06:24 - Ultimo aggiornamento: 06:58

Un'overdose di blues per Londra. È la cura di Zucchero contro le basi registrate, i duetti costruiti a tavolino e pure il rock contemporaneo, «annacquato e vittima del politically correct». Sembra funzionare, sui 5.500 spettatori della Royal Albert Hall, tempio della musica londinese dove lo scorso sabato Adelmo Fornaciari, 68 anni, ha battezzato il World Wild Tour con il quale celebra i 35 anni del singolo Overdose d'amore, contenuto in quel capolavoro di album che fu Oro incenso e birra. Arriverà in Italia in estate negli stadi: il 23 giugno a Udine, il 27 giugno a Bologna, il 30 giugno a Messina, il 2 luglio a Pescara e il 4 luglio a Milano.

LA RINASCITA

«Qui nel 1990 Eric Clapton mi diede la possibilità di aprire dodici suoi concerti: così i discografici si convinsero a lanciarmi fuori dall'Italia. Mi piace tornarci», racconta alla platea. E pensare che prima di rivelarsi salvifica, Londra aveva rischiato di essere un baratro per il cantautore, che in quel periodo faceva i conti con la depressione che l'aveva colpito tra il divorzio dalla prima moglie e il fardello del successo: «Nel 1991 in hotel, davanti alla finestra della camera aperta volevo buttarmi giù. Fortuna che un amico mi portò a fare un giro. Vado ancora a dormire lì: all'epoca era un posto vittoriano, dark. Oggi le pareti sono colorate».
Del resto, come canta nella canzone che apre la scaletta, si tratta sempre e solo di accendere uno "Spirito nel buio", trovare la luce in fondo al tunnel. Lo show è una Zuccherology, un'antologia della sua storia, dai campi della provincia reggiana agli studi di Memphis dove i discografici nel 1989 lo mandarono a incidere Oro incenso e birra («Il disco italiano più venduto di sempre: alle copie dell'epoca bisogna aggiungere quelle delle varie ristampe e quelle del disco promozionale pubblicato nel Regno Unito nel 1991, l'anno del duetto con Paul Young su Senza una donna», sottolinea lui, che ricanta la canzone insieme all'italo-inglese Jack Savoretti). Sugli spalti si scatenano tutti, trascinati da una band che è un crogiolo di culture musicali, capitanata dal bassista Polo Jones (uno che ha suonato con Ray Charles, Santana e Bruce Springsteen - capito, sì?) e impreziosita dal talento della corista Oma Jali. C'è chi arriva dalla California, chi dall'Ohio, chi da Cuba. «Non sono mercenari. Suonano con me da anni. Con le basi costerebbe meno, ma senza l'elemento umano non c'è divertimento», spiega Sugar, orgoglioso. Il batterista Phil Mer, trentino, 41 anni, figliastro di Red Canzian (è il figlio di Beatrix Niederwieser, seconda moglie del bassista dei Pooh), ha sostituito all'ultimo Adriano Molinari, colpito da un problema di salute: «Ha imparato in una notte le trenta canzoni in scaletta. Un fenomeno». Partigiano reggiano, Baila, Miserere (con l'omaggio al grande Pavarotti), fino all'estasi mistica della stessa Overdose d'amore, con tanto di coro gospel che sfila in platea e va a posizionarsi sotto l'organo a canne della sala: alla Royal Albert Hall va in scena un godimento collettivo.

LE PAROLE

Il più divertito di tutti è lui: «Morirò sul palco.
L'ho detto io prima di Vasco, anni fa. Girare il mondo mi fa sentire vivo». È quello che farà nei prossimi mesi: «Ma non in Russia. Non suonerei per Putin. E neanche per Trump e Netanyahu». Delle dinamiche della discografia non gli importa, spiega: «I premi? Ormai valgono come caciotte, li danno a tutti. E Sanremo mi ha straccato i maroni. In gara non ci andrei: arriverei ultimo. Il mio erede è Salmo: l'ho sentito dal vivo, spacca. A proposito di chi vuole limitare i testi violenti dei rapper: le parole dei politici sono spesso più violente dei testi delle canzoni».

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