Alex Britti: «Il mio problema è la claustrofobia, non riesco a prendere un aereo dal 1991. Mi vengono gli attacchi di panico»

Parla il musicista e cantautore romano: «Torno dopo 6 anni da padre a tempo pieno»​

Alex Britti: «Il mio problema è la claustrofobia, non riesco a prendere un aereo dal 1991. Mi vengono gli attacchi di panico»
di Andrea Scarpa
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Domenica 11 Giugno 2023, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 01:49

La prima battuta, seduti uno di fronte all’altro - in un ristorante di Trastevere con vista sulla strada - la fa lui, subito: «Sto passando un periodo fantastico, in cui mi diverto come non mi capitava da tempo. Sarà l’andropausa...». 

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Come?
«Ahahaha... (ride). Scherzo, è tutto a posto».

Due minuti dopo, infatti, passa una splendida ragazza di colore con un vestito rosso fuoco e Alex Britti, 55 anni il 23 agosto, per 5-6 secondi va da un’altra parte con gli occhi, non apre più bocca, si fissa. Poi “ritorna” e fa un lungo sospiro: «Ammazza, sembrava Grace Jones da giovane... Vabbè, dicevamo?».


Come se la passa?
«Benissimo. Negli ultimi sei anni, da quando è nato mio figlio Edoardo, non ho fatto dischi, ma solo concerti. Ho scelto di fare il padre».


E cosa ha scoperto?
«Che la paternità è bellissima, sotto tutti i punti di vista. Prima con i figli degli altri ero maldestro, non sapevo come muovermi, temevo di far loro del male. Con Edoardo ho scoperto una manualità e una naturalezza incredibili. Anche adesso che ha sei anni si addormenta addosso a me. Ed è bellissimo. E anche gli altri ragazzini, quando siamo al parco sugli scivoli, me li ritrovo tutti intorno per giocare. Con loro mi diverto». 


Per caso tende a fare il papà amico?
«Per niente.

Si ride e si scherza, ma poi deve darmi retta. Sull’educazione non transigo».


Suo figlio ha mai visto un suo concerto?
«Sì, certo. Lui vuole stare giù, in prima fila, non dietro le quinte. E quando il pubblico, a fine concerto o per strada, mi chiede foto insieme, lui si arrabbia: “Papà è mio”. È un po’ geloso». 


Ha sempre la passione per la cucina?
«Certo. Più che un musicista sono un cuoco... (ride)».


Anni fa stava per amputarsi l’indice della mano sinistra con un frullatore. Per uno che vive in simbiosi con la chitarra, poteva essere un bel problema: ha recuperato?
«Tutto a posto. La punta del dito che stavo per perdere è meno sensibile di prima, ma per un chitarrista in fondo non è neanche tanto male».


Spadellando che musica sente?
«Nelle mie playlist c’è di tutto: funk tipo Sly and Family Stone, ma anche Salmo, Dark Polo Gang, gli americani Silk Sonic, pop, trap americana... Roba divertente». 


Anche la trap?
«Non c’è musica brutta. C’è chi la fa male e chi la fa bene. E comunque largo ai giovani, sempre. Ricordo bene che da ragazzo c’era sempre qualcuno che storceva il naso solo perché ero piccolo».


Va bene, ma il blues e il jazz? Li ha mollati per la trap?
«Per carità. La sera a casa c’è sempre tempo per quei 30-40 dischi in vinile che sento da una vita: 
John Lee Hooker, Miles Davis, Thelonius Monk, Carlos Santana, Steve Ray Vaughan, Paco De Lucia, Pat Metheny...».


Dopo più di trent’anni è soddisfatto per come sono andate le cose?
«Sì. Faccio quello che voglio, ho il mio repertorio e il mio pubblico. Mi sono divertito e non ho mai avuto l’ansia da prestazione se non arrivavo in classifica. E soprattutto non sono uno che ha mai fatto la Rat Race, la gara dei topi, come cantava Bob Marley. Io mi sono sempre preso le mie pause e i miei spazi per suonare e vivere a modo mio». 


Cioè?
«Da quando ho 18 anni, fino alla nascita di Edoardo, ho sempre staccato per due, tre, sei mesi. Olanda, Spagna, Germania, Portogallo... L’Europa con la mia chitarra l’ho girata tutta».


Ha sempre paura di volare?
«Sì. Non prendo un aereo dal ‘91. Non ce la faccio proprio, mi vengono gli attacchi di panico. Mi blocca la claustrofobia più che l’altezza». 


L’ha pagato tanto questo limite?
«Non lo so, forse. Billy Preston (tastierista di Beatles, Rolling Stones, Eric Clapton, Red Hot CHili Peppers, Aretha Franklin etc., ndr) mi voleva nella sua band, idem Buddy Miles, il batterista di Jimi Hendrix. Dissi a entrambi di no. Ma se avessi accettato avrei fatto quello che poi ho fatto? Non lo saprò mai, ma sono sereno: ho avuto quello che meritavo».


Non le piacerebbe vedere il resto del mondo?
«Sì. New York, Nashville, l’Asia, i deserti, le isole caraibiche...».


Da bravo bluesman oggi quando diventa malinconico?
«Ogni tanto, ma meno di un tempo. Nei due nuovi brani che ho appena pubblicato, Nuda e Tutti come te, non c’è traccia di “scuro”. E comunque il blues non è solo quella roba lì. Il blues è innovazione continua».


Adesso è single?
«Sì, da quattro anni».


Dov’è che cade quando è in coppia?
«Non lo so, non me lo sono mai chiesto. E non faccio bilanci. Quando si sta bene, si va avanti. Quando si sta male, è finita».


Da ragazzo far passare le sue scelte di vita è stata dura?
«Sì. Papà era un macellaio molto particolare. Era bipolare di tipo 2: non depressivo ma maniacale e con un super io esagerato. Era il tipo che diceva “questa è casa mia e qui comando io”. A 19 anni, dopo il servizio militare, affittai un box auto e andai a vivere lì dentro, perché suonando solo quello mi potevo permettere. Lontano da casa il rapporto migliorò: vedevo lui e mamma un paio di volte a settimana. E ogni volta scroccavo una bistecca, che da solo non avrei mai visto...».


Suo padre ha fatto in tempo a vedere il suo exploit?
«Sì. Era orgogliosissimo del mio successo. Anche troppo».


Perché nel 1999 si rifiutò di cantare con Luciano Pavarotti? 
«Mi vergognavo. Eravamo al suo Pavarotti & Friends e dissi che avrei suonato, e basta. Non avrei mai duettato con lui. La mia voce con la sua mi sembrava un’offesa. Alla fine accettò: lui e Joe Cocker fecero You are so beautiful, io suonai».


Nel 2018 su Canale 5 ha fatto il giudice di “Amici” di Maria De Filippi: non era il suo habitat? Perché ha retto solo un anno?
«Mi sono divertito, e ogni tanto torno come ospite - Maria è una grande amica - ma io suono a orecchio, non leggo e non scrivo la musica: giudicare non era il mio ruolo».


Qual è il primo ricordo che ha del suo amico Maurizio Costanzo?
«Era una delle persone più divertenti e giocherellone che io abbia mai incontrato. Ci vedevamo spesso per cazzeggiare, e a volte anche per parlare di cose importanti. Nell’estate 2005 ad Ansedonia scrivemmo insieme il musical Lungomare. Andavo da lui una-due volte a settimana, e lui mi diceva sempre di restare a dormire, cosa che non feci mai. Poi un giorno mi lanciò un mazzo di chiavi: la vedi quella villa? L’ho affittata per te. Adesso voglio vedere se te ne vai....».


Come lavoravate?
«Lui cominciava all’alba, io a mezzogiorno. Aveva una piscina d’acqua salata dove non entrava mai, così dopo pochi giorni gli comprai un costume - che non aveva - e un paio di grandi tavole galleggianti per scrivere a mollo in piscina. Ci divertimmo come pazzi». 


È vero a che a 20 anni l’hanno arrestata in Svizzera?
«Sì, per eccesso di velocità. Andavo a 120 kmh dentro il tunnel del San Gottardo. Mi portarono in cella per 4-5 ore. Mi rilasciarono solo dopo aver pagato l’equivalente di 500 mila lire di multa. Solo che io dovevo andare ad Amsterdam, e starci 40 giorni, e avevo un milione in tutto. Cominciò un bel periodo». 

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