CONGO

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Martedì 9 Dicembre 2014, 05:53
IL CASO
NEW YORK
Possiamo fidarci delle carte geografiche? Quanto è accurata la rappresentazione che le mappe fanno del mondo nel quale viviamo, e dei continui cambiamenti ai quali è sottoposto? La domanda è centrale nel libro “A History of the World in 12 maps” (Una storia del mondo in 12 mappe), pubblicato dallo studioso britannico Jerry Brotton, professore di studi rinascimentali alla Queen Mary University di London. La tesi del libro è che ognuna delle mappe prodotte nel corso dei secoli riflette la visione parziale del mondo che il suo autore, o il popolo e la cultura che gli sono dietro, hanno del nostro pianeta. Una visione nella quale l'osservatore ha sempre una posizione centrale, e il resto dello spazio diventa periferico.
HIC SUNT DRACONES
La tendenza è evidente già nella prima mappa di cui si ha memoria: la tavoletta incisa in caratteri cuneiformi 2500 anni fa nei pressi della moderna Baghdad, nella quale il mondo è visto a partire dalla centralità di Babilonia. La sfera bivalve di rame Hunt-Lenox del 1510 attribuita ad un anonimo italiano, e oggi custodita presso la New York Public Library, mostra il concetto in modo ancora più esplicito quando, nel rappresentare la vastità del “Nuovo Mondo” delle Americhe appena scoperte, le ritrae fiancheggiate, sopra il profilo costiero del sud est asiatico, dalla scritta latina : “Hic Sunt Dracones”, (qui ci sono i dragoni, i mostri), un concetto di estraneità e di timore già espresso dall'Ulisse dantesco.
EGOCENTRISMO
Brotton scrive che questo difetto di approccio non è mai tramontato. Oggi le immagini satellitari, l'onnipresenza di Internet e la trasmissione in tempo reale, ci danno l'impressione di poter misurare i confini del mondo con impeccabile accuratezza; ma in realtà restiamo legati alla stessa visione egocentrica che avevano i babilonesi: conosciamo in dettaglio le fattezze dei territori sui quali si addensano gli interessi commerciali del nostro tempo, e ignoriamo quelli delle periferie del mondo, specialmente di quello più povero.
IL DRAMMA HAITI
Questo difetto ha risvolti drammatici, come si è visto nelle operazioni di soccorso dopo il terremoto di Haiti, quando i soccorritori internazionali conoscevano approssimativamente la geografia del territorio in cui portare i soccorsi, ma non avevano nessuna idea del rapporto tra popolazione e territorio, e ignoravano dove piazzare le centrali operative per meglio servire la popolazione.
Il problema è così sentito tra gli specialisti, che ha suggerito il lancio del progetto: The Missing Map, proposto da Medici Senza Frontiere e dalla Croce Rossa. L'idea è di completare i dati già forniti da Google Map e dai satelliti, con informazioni concrete sul territorio, raccolte dai volontari che raggiungono le profondità della foresta pluviale congolese, o la topografia anarchica delle favelas brasiliane.
ADDIO KEYS
Anche una volta compiuta, questa ulteriore mappatura non risolverà a pieno le lacune di cui soffriamo. Più la guardiamo da vicino, e più ci accorgiamo infatti che la Terra è in continua evoluzione. L'innalzamento delle acque sta facendo sparire nel Golfo del Messico porzioni intere della Louisiana e delle Florida Keys, oltre a ridisegnare ogni anno il profilo della costa tra la città di New York e il suo aeroporto Kennedy. All'opposto, sta facendo emergere nuovi territori e nuove strade d'acqua al Polo Nord.
C'è poi il mistero delle terre sommerse. Il profilo orografico e geografico del suolo marino ha avuto una scarsa rilevanza fino a ieri, ma oggi che la tecnologia permette di esplorare sempre più in profondità sotto la superfice delle acque, la necessità di una cartografia dettagliata sta diventando impellente. Serve prima di tutto alle società minerarie e petrolifere che intendono spingersi sempre più lontano alla ricerca di materiali preziosi per la nostra sopravvivenza, che cominciano a scarseggiare sulle terre emerse. Serve poi ai governi degli stati che intendono avanzare pretese territoriali nei confronti delle zone più promettenti per le estrazioni.
LE DISPUTE
I modelli esistenti sono ancora molto approssimativi, ma l'arrivo delle stampa tridimensionale sta aprendo nuove prospettive ad una mappatura più dettagliata, che presto fornirà la base scientifica alle tante dispute già in corso di formazione: tra la Russia e i paesi scandinavi da una parte, e tra la Cina e il bacino meridionale del Pacifico dall'altra.
Riusciremo mai a fotografare il nostro pianeta? L'immagine statica del mappamondo che abbiamo conosciuto sui banchi di scuola non è mai stata più traballante, e i confini della Terra non sono stati altrettanto mobili di quanto lo sono oggi.
Flavio Pompetti
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