Grati a chi è poco grato, analisi semiseria dei ringraziamenti letterari

Grati a chi è poco grato, analisi semiseria dei ringraziamenti letterari
di Luca Ricci
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Giovedì 4 Settembre 2014, 18:26 - Ultimo aggiornamento: 6 Settembre, 10:09
Sono da sempre un ammiratore, per cos dire, dei ringraziamenti letterari.

Quello che più mi affascina di quelle pagine messe alla fine del libro è lo scadimento della lingua: quando si affrontano i propri creditori anche lo scrittore resta senza armi, cioè senza parole nuove, originali. Di solito il lavoro dell’agente è stato “meraviglioso”; l’editore ha avuto una “disponibilità generosa” e i suoi più stretti collaboratori sono stati “incrollabili e talentuosi”; alla madre vengono espressi “amore e gratitudine”; i nipotini sono “adorati”; ai cognati viene tributato un “grazie di cuore”; infine il cagnolino (o il gatto o il topo o chi volete voi) al pari dei nipoti è “il prediletto”.



Ora per chi voglia saperne di più è uscito un libro ad hoc intitolato “Lui sa perché” (isbn, pag. 204, 14,00 €) a cura di Carolina Cutolo e Sergio Garufi. Nella sua puntuta introduzione, Stefano Bartezzaghi sostiene che lo scrittore alle prese coi ringraziamenti lancia tre sfide formidabili: “… una, all’ira degli esclusi; un’altra, al sarcasmo dei lettori più malevoli; l’ultima, al sostanziale disinteresse di tutti gli altri”. In fondo, un’umanissima malattia che ha risparmiato ben pochi scrittori. Tra queste mosche bianche c’è Samuel Beckett, il quale non era certo tipo da sprecare le parole: alla domanda sul perché scrivesse rispose con otto lettere: “Bon qu'a ça” (sono buono solo a questo).



I ringraziamenti contenuti in “Lui sa perché” sono divisi in categorie, ciascuna brevemente descritta, così da trasformare il libro in una enciclopedia mignon, che può essere letta anche a caso, saltando pagine e, come si dice per i testi da consultazione, quando occorre. Tra le categorie più divertenti, cioè peggiori, abbiamo “Amico Vip” dove chi scrive ringrazia un personaggio famoso (nove volte su dieci molto più famoso di lui), di fatto vantandosi come un adolescente delle sue amicizie, oppure “V per vendetta” dove chi scrive usa i ringraziamenti come una sorta di regolamento di conti, o ancora “Gli insopportabili” dove chi scrive rende omaggio a chi l’ha sopportato, ed è tutto un fioccare di genitori, mariti, mogli, figli, amanti (altro che soap-opera o parentopoli).



Gli scrittori che ricorrono più frequentemente in questa antologia in cui, per certi versi, sarebbe molto meglio non comparire, non sono affatto i più giovani e meno scafati (i più vogliosi, volendo, di urlare al mondo: “Ce l’ho fatta e ora vi ringrazio per farvelo sapere”). Davanti ai ringraziamenti siamo tutti uguali, verrebbe da dire che in quelle pagine (più false del falso, perché seguono spesso e volentieri un’opera di fiction) siamo tutti sempre esordienti. Così a fare la parte del leone sono proprio i big o presunti tali, quelli comunque che vendono, che sono visibili, che vanno in tv: Moccia, Veronesi, Bianchini, Giordano, Saviano…



Agli irriverenti compilatori Cutolo e Garufi verrebbe da suggerire un secondo tomo riguardante un’altra diffusa malattia letteraria, connessa stavolta al postmoderno citazionismo: l’epigrafe. Esattamente come accade per i ringraziamenti, è ormai divenuto un obbligo per lo scrittore contemporaneo arricchire la propria storia con una frasetta messa tra virgolette prima dell’avvio dell’Opera. Senza questi bon-mot, aforismi o porzioni di testo illustri, ormai un romanzo sembrerebbe meno un romanzo, esattamente come se ci accorgessimo che mancano i ringraziamenti finali. Se volete, chiamatela dittatura del paratesto. Comunque vada, il testa-coda è quasi garantito.

@LuRicci74