Mazzacurati e La sedia della felicità, una girandola di trovate

Isabella Ragonese e Valerio Mastandrea in una scena di La sedia della felicità
di Fabio Ferzetti
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Venerdì 25 Aprile 2014, 19:43
Un impossibile “documentario fantastico” sul nostro irriconoscibile Nordest, dove i paesaggi contano quanto i personaggi e a volte di pi. Un'autentica commedia svitata, zeppa di figure strampalate e folgoranti “cameos”, a cui non possiamo smettere di voler bene nemmeno un momento (anche grazie al tempismo e alla finezza degli intonatissimi protagonisti). Uno sfrenato giallo comico, ispirato a un romanzo russo già portato tante volte sullo schermo (fra l’altro da Mel Brooks con Il mistero delle dodici sedie).



PROVINCIA

Ma soprattutto un’esilarante summa di tutto il cinema di Carlo Mazzacurati, che dai tempi di Notte italiana, 1987, passando per Un’altra vita, Il toro e La lingua del santo, non ha mai smesso di cercare tesori nascosti nell’infinita provincia italiana.



Crudele paradosso: il film più vitale della stagione, La sedia della felicità, lo ha fatto un regista scomparso nel frattempo. Che però qui trova una foga e insieme una grazia destinate a moltiplicare il divertimento e il rimpianto. La motivazione del Premio alla carriera assegnatogli lo scorso novembre dall’ultimo Festival di Torino parlava del suo amore per «i vizi e le intuizioni» di un popolo che dagli anni 80 in poi è diventato sempre più «confuso e disperato»: il nostro. Ma per Mazzacurati, qui più che mai, disperazione fa rima con azione. E i suoi personaggi non stanno mai fermi, come nelle grandi screwball comedies anni 30, che raccontavano un mondo e un cinema in tumultuosa trasformazione.





PSICANALISTA SELVAGGIO

Ed ecco dunque il tatuatore romano Valerio Mastandrea, arenato a Jesolo chissà perché, che a forza di incidere epidermidi inizia a intuire cosa nascondono i suoi clienti, come uno psicanalista neanche tanto selvaggio. Ecco l’estetista siciliana Isabella Ragonese, altra “spostata” esperta in sogni e frustrazioni, sentirsi svelare da una criminale in punto di morte (Katia Ricciarelli, un personaggio antico e moderno, «fra Goldoni e Tarantino», Mazzacurati dixit)) dove ha nascosto uno scrigno di gioielli.

Morale: il tatuatore separato e l’estetista perseguitata dai creditori, uniti dal caso e dal bisogno (per l’amore ci vuole tempo), si lanciano in una folle caccia al tesoro tra antiche ville abbandonate, vecchie officine trasformate in goganteschi ristoranti cinesi, preti assatanati e pronti assolutamente a tutto (Giuseppe Battiston).



BRIVIDO METAFISICO

E poi maghi men che cialtroni, mature archiviste con tendenze sadomaso, pescivendoli del tutto incomprensibili, anziane veggenti malate, banditori di aste tv, montanari pittori naif, quadri dipinti dai montanari naif, in un vorticoso crescendo a cui partecipa con affetto mezzo cinema italiano (Antonio Albanese, Milena Vukotic, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio, Roberto Citran, Natalino Balasso...). Con una leggerezza che salta a piè pari la satira, palla al piede di tanti film nostrani, per tuffarsi nella più libera e sfrenata invenzione. Vedi l’epilogo montano, che insinua in tanta frenesia un brivido addirittura metafisico.



VOGLIA DI RISCATTO

Mai “testamento” fu più scanzonato. E profetico, se davvero Mazzacurati, come ha detto, voleva «che l’umanità di questo racconto emergesse a volte attraverso le forme del grottesco e a volte in toni più lirici. Ma la cosa che mi stava più a cuore era riuscire a tenere insieme il senso di catastrofe, verso cui sembra che tutti stiamo correndo, con l’energia e la voglia di riscatto che nonostante tutto si sente in Italia».



Che altro dire? Addio caro Carlo. Missione compiuta.
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