DOLO/BORGORICCO - Secondo lo Stato con quei sacchi di farina il locale doveva aver fatto un numero ben superiore di pizze. Motivo per cui l’Erario aveva contestato agli imprenditori Mauro e Massimo Furlan, titolari di due noti locali del Veneziano e del Padovano, il Kalispera di Dolo e il Pioniere di Borgoricco, di aver omesso nelle dichiarazioni dei redditi circa 600 mila euro. Con il rincaro delle cartelle esattoriali, inoltre, il conto aveva raggiunto quasi 800mila euro.
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Solo che gli accertatori non avevano tenuto conto, evidentemente, che con quella farina non si facevano solo le pizze, ma anche pane e bruschette.
La vicenda
Tutto era iniziato nel 2013 con un accertamento dell’Agenzia delle entrate. La contestazione era di avere avuto un “maggior reddito” per oltre 600mila euro rispetto al dichiarato. La verifica si basava sul calcolo della farina ordinata dal locale. Con quei quintali di materia prima a disposizione, secondo i funzionari del fisco, i Furlan dovevano aver guadagnato sicuramente di più. Il concetto alla base della difesa architettata da Veneri si basa su un principio banale: Gli accertatori dell’Agenzia delle entrate di mestiere non fanno i panettieri. E così gli stessi accertatori erano stati chiamati in giudizio. «Spesso - spiega l’avvocato - ci troviamo di fronte ad accertamenti erronei, infarciti di pregiudizi ed effettuati da accertatori non correttamente preparati ed avulsi dalla realtà produttiva. Gli stessi funzionari dell’Agenzia difesi dall’Avvocatura dello Stato in udienza hanno insistito per l’inammissibilità del giudizio».
La Suprema Corte con questa sentenza ha, invece, confermato la validità delle rimostranze, rigettando il ricorso in Cassazione presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di secondo grado che aveva dato ragione ai Furlan e annullato l’avviso di accertamento, condannando la stessa agenzia al pagamento delle spese legali. Si tratta del primo caso in Italia in cui l’accusato diventa accusatore svolgendo azione di responsabilità contro il funzionario. La Cassazione ha definito la sentenza di secondo grado «inoppugnabile e incontestabile», ritenendo discutibile l’operato svolto dagli accertatori e criticandone il metodo seguito.
«Il principio - commenta Veneri - è che anche in ambito fiscale chi commette un errore deve risponderne. Questo pone un limite anche a quelle verifiche che vanno ad incidere anche sulla debolezza di alcuni imprenditori. Sino ad oggi, purtroppo, il modus operandi utilizzato dall’Agenzia delle Entrate ha spesso mostrato paramenti non affidabili e certi per constatare un possibile maggior reddito. Queste contestazioni discutibili hanno portato molti imprenditori sull’orlo della disperazione». Secondo l’avvocato negli ultimi tempi il clima sarebbe cambiato, con una maggior propensione alla collaborazione da parte del personale dello Stato. In attesa, però, di una richiesta di risarcimento milionaria. «Si sta instaurando un rapporto civile, rispettoso e di collaborazione, come dev’essere tra imprenditore e Agenzia dell’Entrate. - prosegue - Non più un rapporto tra perseguitato e persecutore dove il persecutore ha sempre e in ogni caso ragione. Ho ricevuto incarico dai Furlan a procedere con la domanda di risarcimento danni (che sarà milionaria) contro gli stessi funzionari».