Ruben Razzante
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Anarchi digitale/ Il naufragio della ragione che genera l’odio social

di Ruben Razzante
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Lunedì 15 Gennaio 2024, 23:56

La libertà d’espressione è un principio riconosciuto e garantito dalla nostra Costituzione e dalle leggi vigenti e il suo concreto esercizio vivifica la dialettica democratica, purché saldamente ancorato al rispetto dei valori fondamentali della persona. Nella legittima manifestazione di un pensiero è indispensabile mettere al centro la tutela di altri diritti individuali, in primo luogo la dignità di ogni essere umano, che va protetta con attenzione, tanto più se la circolazione delle opinioni avviene nel web e sui social, dove assume spesso forme virali. Non si può far finta di nulla di fronte all’ennesima tragedia della Rete.

La morte di Giovanna Pedretti, la ristoratrice di Sant’Angelo, nel Lodigiano, che nei giorni scorsi aveva risposto a una recensione contro gay e disabili, ed è stata ritrovata senza vita nel fiume Lambro, getta una luce fosca sulle implicazioni devastanti che un uso anarchico dei canali digitali può provocare sulla vita delle persone. Una delle ipotesi di chi indaga è che la donna si sia suicidata in seguito alle critiche ricevute online dopo la pubblicazione del suo commento al giudizio negativo ricevuto per il suo locale. Il fidanzato di Selvaggia Lucarelli, lo chef Lorenzo Biagianelli, aveva smontato come falsa quella recensione, scatenando l’odio social nei riguardi della ristoratrice. Quali insegnamenti si possono trarre da questa triste e assurda vicenda? 

Anzitutto che la tossicità dello spazio virtuale non può continuare ad essere tollerata come il pedaggio da pagare per poter avere piena libertà di opinione. Si suole ripetere che la ricchezza della Rete è proprio il suo essere refrattaria a lacci e lacciuoli, a vincoli, restrizioni o censure. Peccato, però, che questa accezione anarchica dei canali digitali venga interpretata come licenza di uccidere e si traduca nella smania irrefrenabile di affermare un ipertrofico protagonismo a spese del prossimo, destinato ad essere travolto da uno tsunami di insulti e minacce. L’odio sembra diventato il carburante di un chiacchiericcio scomposto che finisce per devastare i bersagli delle critiche fino a massacrarne la psiche e a indurli, nei casi più gravi, a gesti estremi.


La popolarità che i social sono in grado di offrire con relativa facilità e ricorrendo a metodi tutt’altro che trasparenti e men che meno fondati sull’accertamento della verità finisce per narcotizzare i protagonisti e per alimentare il loro delirio di onnipotenza, che abbatte ogni barriera del buon senso e del rispetto degli altri.

La deriva che subisce la Rete in situazioni simili equivale al naufragio della ragione e all’annientamento della persona nella sua essenza. Tutto questo -vien da riflettere- che cosa ha a che fare con la libertà d’espressione? Poco o nulla. Gli strumenti per evitare la violenza verbale e la degenerazione del dibattito nel web e sui social sono diversi ma vanno usati con determinazione e consapevolezza. Anzitutto anche nell’ambiente virtuale chi offende gratuitamente, minaccia, sparge veleni non supportati da prove deve risponderne. Questo succede spesso, ma non ancora abbastanza, soprattutto perché non tutti denunciano le violazioni dei diritti in Rete. I tribunali fanno quello che possono ma la presenza di un’Autorità che intervenga tempestivamente per spegnere sul nascere gli incendi provocati dall’esplosione dell’odio veicolato con mezzi telematici potrebbe rivelarsi preziosa. Una sorta di Giurì senza alcun intento censorio, chiamato a far rispettare precise linee guida o codici di condotta per il corretto utilizzo degli strumenti digitali sarebbe un esperimento da varare e collaudare. 


Nel caso specifico delle recensioni online, nel marzo scorso l’Italia ha recepito una direttiva europea che obbliga alla trasparenza e all’autenticità nella raccolta e diffusione di opinioni condivise in Rete da utenti che hanno già provato un prodotto o servizio. Il puntuale rispetto di tale norma ridurrebbe il rischio di manipolazioni ai danni dei consumatori e dei titolari di attività commerciali e potrebbe contribuire a svelenire il clima che spesso si crea attorno a valutazioni manifestate online. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, di fronte alla bulimia di offese che si registra in Rete. L’emergenza odio online continua ad essere sottovalutata, sia sul piano dei possibili interventi normativi sia dal punto di vista delle auspicabili iniziative di educazione digitale. Ci vuole un colpo d’ala.

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