Gianmarco Paolucci va condannato alla pena dell’ergastolo e non possono essergli concesse le attenuanti generiche visto l’utilizzo di guanti in lattice che fa ritenere sussistere la premeditazione, anche se questo aspetto non è stato contestato. È andato giù duro il Pg Alberto Sgambati, ieri, nella prima udienza del processo di secondo grado all'Aquila riguardante Gianmarco Paolucci, il macellaio di 26 anni (assistito dall’avvocato Mauro Ceci) accusato di aver ucciso Paolo D’Amico, l’operaio 55enne trovato morto il 24 novembre del 2019 nella sua villetta isolata nelle campagne di Barisciano.
In primo grado Paolucci era stato condannato dalla Corte d’Assise dell’Aquila alla pena di 15 anni di reclusione, data l’esclusione delle aggravanti e in più con il rito abbreviato (inizialmente non concesso), con relativo sconto di un terzo della condanna finale. Nell’ora di requisitoria, il Pg Sgambati, aderendo all’Appello del pm Simonetta Ciccarelli sulla sussistenza delle aggravanti ha rimarcato come punti cardine contro Paolucci «la prova del suo Dna, il suo cellulare che lo posiziona nelle vicinanze della villetta della vittima nell’arco temporale in cui si è consumato il delitto, ma anche la preesistente conoscenza tra imputato e vittima e i contatti tra i due, il giorno prima e poche ora prima dell’assassinio». Dito puntato dal Pg anche «sul silenzio difensivo dell’imputato che non ha mai parlato e la sua non collaborazione in fase di indagine, tutto questo non ci consente di valutare ipotesi alternative».
Requisitoria del Pg che, come prevedibile, ha ruotato sulla sussistenza delle aggravanti che condurrebbero Paolucci alla pena dell’ergastolo.