Augé torna sul metrò: il nuovo saggio
dello studioso dei "non luoghi"

Augé torna sul metrò: il nuovo saggio dello studioso dei "non luoghi"
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Martedì 21 Aprile 2009, 10:41 - Ultimo aggiornamento: 10:46
ROMA (21 aprile) -Lo spazio sotterraneo, grazie forse a un particolare effetto ottico, offre un’immagine ingrandita delle evoluzioni lente o accelerate dell’intera società in movimento». Così nel 1986 Marc Augé spiegava la sua scelta di dedicare un’indagine ai comportamenti osservati nella metropolitana di Parigi aprendo Un etnologo nel metrò, un volume diventato in fretta un classico dell’antropologia contemporanea.



Vent’anni dopo lo studioso francese celebre per le sue analisi dei “non luoghi” è tornato a tuffarsi nel sottosuolo della capitale per capire che cosa è cambiato da allora e lo racconta in Il metrò rivisitato proposto in Italia da Raffaello Cortina (82 pagine, 8 euro).



Il mutamento più significativo, a giudizio di Augé, è costituito dalla progressiva perdita di importanza del metrò come spazio di socializzazione. Se in passato, precisa, non era infrequente trovare passeggeri impegnati a conversare tra loro, oggi quasi nessuno parla: moltissimi ascoltano musica dalle cuffie, altri leggono. Si tratta di un effetto indiretto che si è prodotto, secondo Augé, a causa dell’organizzazione stessa del lavoro nel metrò.



Scrive in proposito: «Con il passare degli anni, il passeggero del metrò ha perduto ogni possibilità di scambiare due parole con il venditore di biglietti, il controllore, il capotreno o il capostazione. Ci sono gli schermi che lo tengono informato. Messaggi registrati, poi, gli raccomandano di prestare attenzione alla sicurezza, di segnalare pacchi sospetti. Ciò che gli viene suggerito è che la sorte di tutti è nelle mani di ciascuno, ma nessuno parla con nessuno e questo messaggio resta anonimo. Il viaggiatore del metrò si sente sempre meno a casa propria».



L’antropologo è inoltre colpito dalla diffusione della stampa gratuita e dall’utilizzo che ne viene fatto. Molti lettori che vanno di fretta, racconta, si procurano una copia di uno dei tanti quotidiani messi loro a disposizione all’ingresso delle stazioni prima di salire sul treno. Una volta arrivati a destinazione se ne liberano abbandonandola su una panchina oppure gettandola nei cestini dei rifiuti dove spesso la recuperano altri viaggiatori. Per Augé si tratta del simbolo di una società di consumo che produce sempre più rifiuti e non riesce a garantire una vera informazione, visto che la stampa gratuita è povera di notizie e ricca in particolare di informazioni pubblicitarie.



Dal 1986 ad oggi, inoltre, sono sensibilmente aumentati a giudizio di Augé i segni della povertà causata dalla vita della metropoli che si possono osservare all’interno dei vagoni. «La povertà - afferma - era evidente anche allora ma la scena tipica dell’elemosina era quella dell’ingresso nelle vetture di cantanti e musicisti più o meno dotati e si riduceva a una rapida prestazione seguita da una questua. Oggi, invece, gli interventi sono quelli di individui che enunciano, a voce più alta possibile, la loro età e la loro situazione familiare prima di reclamare un po’ di soldi o un buono pasto. Molto spesso la gente reagisce con fastidio a queste richieste. Sottoterra, nello spazio del vagone dove bisogna alzare la voce per farsi sentire, le crudeltà della vita sociale sono sotto gli occhi di tutti e proprio per questo gli sguardi si distolgono infastiditi, esasperati e magari un po’ imbarazzati».



Il metrò nel quale Augé torna in veste di antropologo a vent’anni di distanza dal primo viaggio (pur avendo continuato a utilizzarlo nei panni del semplice cittadino) è, dunque, un luogo in cui milioni di individui sempre più isolati l’uno dall’altro condividono una porzione della giornata senza interagire tra loro, o facendolo solo in caso di necessità, è il regno del silenzio e dell’efficienza tecnologica.



Insomma la sintesi perfetta della nostra epoca in cui, osserva concludendo la sua indagine, «il computer, le cuffie, il walkman e il telefono portatile sono gli strumenti, ogni giorno sempre più elaborati, di questa intima espulsione da sé che caratterizza l’individualità contemporanea».