PERUGIA – Un vortice. I soldi nel conto corrente, i figli piccoli da tutelare, un presunto operatore della polizia postale che sembra l’ancora di salvezza e che invece le spalanca le porte di una truffa da quasi quindicimila euro.
Raggiri purtroppo sempre più comuni, se è vero come è vero che in una settimana gli agenti (quelli veri, costantemente in prima linea contro crimini e criminali informatici) della polizia postale di Perugia raccolgono una media di dieci denunce e segnalazioni a settimana. Raggiri di cui se senti parlare dall’esterno ti domandi come sia possibile caderci, ma quando poi ti trovi a viverli in prima persona capisci perché. E che raccontati da una delle tante vittime fanno capire perfettamente come i criminali che agiscono su internet siano abilissimi non solo nell’utilizzo delle tecnologie ma anche nel trovare le parole per farti credere che sono i buoni accorsi in tuo aiuto.
LA TESTIMONIANZA
Il racconto è quello fatto da un’imprenditrice quarantenne ieri mattina in tribunale, nel corso dell’udienza che la vede parte civile (assistita dall’avvocato Ilario Taddei) nel processo contro una 27enne di Siracusa (difesa d’ufficio dall’avvocato Gloria Isidori) sul cui conto corrente sarebbe finito, secondo le ricostruzioni della polizia postale perugina e la denuncia presentata dall’imprenditrice perugina, la somma di 14.900 euro appena svuotata dal conto corrente.
Storia del settembre 2022. La donna si vede arrivare attraverso il sistema solitamente usato dal proprio istituto di credito un alert secondo cui ci sarebbero delle operazioni e movimenti sul proprio conto corrente riscontrate nella zona di Lugano. «Se non è lei che sta facendo queste operazioni - è il senso del testo - la preghiamo di cliccare nel link sottostante per risolvere subito il problema». La donna si preoccupa ma al tempo stesso si sente ancora sicura perché, secondo quanto raccontato ieri in aula, il messaggio arriva dal numero con cui interagisce «quotidianamente» per i bonifici che deve fare per lavoro. Quindi è in buona fede convinta come effettivamente sia vittima di un tentativo di attacco online al proprio conto online e clicca sul link proposto per essere messa in contatto con un operatore. «Si è presentato come operatore di polizia postale - ha raccontato in aula - dicendomi in modo molto gentile e appropriato come il mio telefono fosse soggetto ad un’attività di hackeraggio.
A quel punto, inevitabilmente, la fiducia nel sedicente operatore è totale. «Anche perché - ha aggiunto la donna nel corso della sua testimonianza in aula - usava un linguaggio tecnico, era molto preciso». L’ultimo passaggio è quello decisivo. «Mi ha fornito un iban che mi ha definito sicuro, su cui bonificare i 14.900 euro che avevo nel mio e che nel giro di un paio di giorni una volta terminato l’attacco informatico in corso mi sarebbero stati rigirati». Qui arrivano i primi dubbi, dal momento che se prima il sedicente operatore era stato preciso e puntuale, circa le modalità di restituzione risulta invece vago indicando un generico «ufficio più vicino a casa sua» per le operazioni di restituzione. Il dubbio dura lo spazio di pochi secondi, quelli necessari alla donna per richiamare il numero da cui l’aveva contattata il presunto operatore e sentire una voce pre registrata sostenere che il numero è inesistente.
A quel punto la certezza di essere vittima di una truffa è realtà. La donna si rivolge prima ai carabinieri e poi alla polizia postale di Perugia, venendo a sapere che il conto su cui sono finiti i soldi è di una 27enne siciliana che lo avrebbe attivato utilizzando i propri dati ma fornendo l’utenza telefonica di un’altra donna con cui la polizia di Siracusa l’ha trovata nel corso di un controllo. Evidenti, per l’accusa, teste di legno di un meccanismo di truffa. Con l’imprenditrice che deve ancora vedersi sbloccati gli ottomila euro che i poliziotti veri sono riusciti a bloccare.
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