Perugia, escort sequestrata in bagno: a giudizio imprenditore col vizietto della cocaina

Il tribunale di via XIV Settembre
di Enzo Beretta
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Mercoledì 21 Febbraio 2024, 08:44

Il giudice Natalia Giubilei ha rinviato a giudizio un elettricista di 49 anni ritenuto responsabile dalla Procura di Perugia dei reati di sequestro di persona e violenza privata: viene accusato di aver minacciato con il coltello e legato i polsi con il nastro adesivo a una prostituta sequestrata in bagno. Il processo davanti al giudice Francesco Loschi inizierà il 24 ottobre.
Stando a quanto ricostruisce il pubblico ministero Mara Pucci l’elettricista ha utilizzato «violenza e minaccia» nei confronti della persona offesa con la quale aveva «consumato un rapporto sessuale a pagamento». «Inizialmente l’ha costretta a tollerare la sua permanenza nell’abitazione rifiutandosi di uscire nonostante l’invito della donna, poi le ha intimato di andare fuori per procurargli la cocaina. Al suo rifiuto, visibilmente alterato, le ha puntato contro un coltello da cucina e l’ha afferrata per i capelli, intrattenendosi nell’abitazione fino alle 9 del mattino seguente contro la sua volontà». L’imputato, che deve anche rispondere dell’ipotesi di reato di sequestro di persona, sempre secondo la ricostruzione accusatoria «l’ha privata della libertà personale legandole polsi con del nastro adesivo che estraeva dal suo borsello e l’ha chiusa in bagno, tenendo la porta serrata con la forza così da impedirle di uscire». La ‘lucciola’ è stata «così privata della libertà di locomozione per un tempo apprezzabile, finché, verso le 3, l’uomo non veniva a assecondato con la falsa promessa di adempiere alle sue richieste».

Secondo l’avvocato Cosimo Gabriele Caforio la persona offesa ha denunciato l’elettricista «due mesi dopo i presunti fatti, accaduti soltanto perché lui non le aveva corrisposto la somma di denaro che lei aveva richiesto». La donna - prosegue il legale - è «tornata la mattina seguente nell’appartamento con la colazione per chiedere ulteriori 900 euro» che l’imputato avrebbe voluto pagare con un assegno che lei ha «preferito restituire».

Caforio concentra dunque l’attenzione su alcuni sms ricevuti dal suo cliente nei giorni successivi dai quali si evincerebbe che era lei che «lo cercava insistentemente e le chiedeva più volte si passare da lei». In uno lo chiama con il nomignolo di «cuore». Conclude Caforio: «Ciò che appare inconcepibile è il fatto che dopo essere stata costretta a subire il presunto orribile e agghiacciante comportamento del mio cliente, la stessa non solo la mattina seguente faceva rientro nell’appartamento come se nulla fosse mai accaduto ma nei giorni successivi al fine di verdersi continuava insistentemente a contattarlo». 

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