«Quel video? Un’umiliazione continua, patita per mesi e ora dopo la bomba mediatica soffro ancora di più, perché sono diventata bersaglio di tutta Italia». Un fiume in piena la trentenne licenziata dalla Roma calcio dopo che dal suo telefonino era stata sottratta una clip hard (privata) diffusa senza il suo consenso tra calciatori e staff. Circostanza che, secondo quanto scritto nella lettera di licenziamento, ne avrebbe decretato l’allontanamento dal posto di lavoro per «incompatibilità ambientale». Di fronte al procuratore federale Giuseppe Chiné, negli uffici della Figc, ieri mattina, la trentenne ha ripercorso in maniera concitata la sequenza dei fatti che hanno portato al suo licenziamento e alla causa di lavoro con il club giallorosso, tuttora in piedi. «La mia vita è stata stravolta», ha ripetuto, aiutando il capo della giustizia sportiva a ricostruire la rete di chi ha partecipato, più o meno attivamente, a quello che potrebbe configurarsi come un caso di revenge porn. Pronta a fare i nomi di tutti coloro che possono avere avuto un ruolo nella vicenda: «Ecco chi sono». Ma sono anche le motivazioni del licenziamento, che sul video avrebbero fatto perno, e che ora mettono anche i dirigenti nella lente della Procura federale. Da qui il rischio (sia pure ancora ipotetico) che alla Roma, dunque, non possa essere riconosciuta solo una responsabilità oggettiva nella vicenda, ma diretta con conseguenze e sanzioni pesanti.
VOGLIA DI PARLARE
La giovane donna, ex impiegata nella foresteria di Trigoria, è stata licenziata a novembre insieme con il suo fidanzato, anch’egli in servizio nel centro sportivo dove si allenano sia la Primavera che la prima squadra.
Particolarmente intensa la testimonianza della ragazza. Che ha spiegato di avere capito solo dopo essere stata convocata dai dirigenti a settembre e avere saputo dell’esistenza del video girato tra tantissime persone, giocatori e tecnici, il senso di certe risatine e ammiccamenti dei mesi precedenti.
GLI OCCHI ADDOSSO
Ma ancor peggiori sono stati i due mesi successivi in cui continuava a lavorare sentendosi «gli occhi addosso». La trentenne e il fidanzato immaginavano che, esploso il caso, ogni atteggiamento sessista o, quantomeno, il comportamento del baby-calciatore fosse stigmatizzato dalla società, «invece ci hanno messo improvvisamente alla porta». Non sono gli unici del resto ad avere ricevuto lo stesso trattamento nell’ultimo periodo dalle parti del centro sportivo e di via Tolstoj, sede del Club. L’era della nuova Ceo Lina Souloukou avrebbe inaugurato, infatti, una sorta di spoil system con accompagnamenti alla porta e dipendenti in ferie forzate anticamera del fine corsa. Provocando malumori e ispirando altresì velenosi desideri di vendetta. Un clima nervoso per cui Dan Friedkin avrebbe deciso di tornare a Roma in questi giorni. I numerosi sforzi per investire proprio nell’anima rosa della società (la prima squadra femminile è campione d’Italia) rischiano di essere vanificati, tanto più che il gossip non si placa e altre dipendenti avrebbero lamentato corteggiamenti anche pesanti da vecchi e nuovi dirigenti.