Roma, svolta nel delitto Vannini: «Marco si poteva salvare». Tutta la famiglia Ciontoli accusata di omicidio

Roma, svolta nel delitto Vannini: «Marco si poteva salvare». Tutta la famiglia Ciontoli accusata di omicidio
di Emanuele Rossi
3 Minuti di Lettura
Giovedì 9 Novembre 2017, 08:15 - Ultimo aggiornamento: 12:50

«Marco Vannini poteva essere salvato». Lo hanno stabilito i medici nominati dalla Corte d'Assise di Roma, presieduta da Anna Argento e dal giudice a latere, Sandro Di Lorenzo. I professori Antonio Oliva, Francesco Alessandrini e Andrea Arcangeli, hanno depositato la perizia collegiale nella cancelleria del tribunale. Una relazione che potrebbe a questo punto inchiodare i Ciontoli, l'intera famiglia alla sbarra per omicidio volontario con dolo eventuale. Antonio, il capofamiglia, maresciallo della Marina con un ruolo nei servizi segreti, la sera del 17 maggio 2015, si è attribuito la responsabilità dello sparo che ha provocato la morte del giovane cerveterano 20enne. Ma nella villetta Ciontoli, in via De Gasperi a Ladispoli, c'erano tutti: la moglie Maria, la figlia Martina, fidanzata di Marco, l'altro figlio Federico e la sua fidanzata Viola Giorgini, quest'ultima imputata solo per omissione di soccorso. Nessuno ha chiamato in tempo utile i soccorsi dopo che il povero Marco era stato ferito nel bagno con una calibro nove a canna corta. Il proiettile aveva già trapassato polmone e cuore mentre il ragazzo soffriva e gridava chiamando la mamma.
Urla che si sentono nelle registrazioni telefoniche dell'Ares, ascoltate anche nell'aula di tribunale in una delle udienze. I periti hanno confermato che «una tempestiva attivazione del corretto iter diagnostico-terapeutico si legge nella relazione - avrebbe garantito a Vannini l'accesso ad un livello adeguato di cure e contrastato l'insorgenza delle complicazioni postoperatorie o dello choc ipovolemico protratto, scongiurandone, con elevata probabilità, la morte».

BUGIE AL TELEFONO
Perciò, se i Ciontoli avessero correttamente informato il personale sanitario, «si sarebbe innescata una diversa e più rapida organizzazione dei soccorsi evidenzia la perizia finalizzata alla stabilizzazione delle condizioni cliniche del paziente ed il suo immediato trasferimento presso un ospedale per un intervento chirurgico». I periti sostengono che «tale intervento, applicato ad un paziente giovane, con funzioni vitali relativamente stabili, che ne hanno sostenuto la vitalità per almeno 3 ore dal momento del ferimento, nonostante il mancato accesso al livello di cure adeguato avrebbe avuto, con ottime probabilità a breve termine, un impatto altamente positivo per restare in vita». Soddisfatti i legali dei Vannini. «E' la conferma definitiva che la famiglia Ciontoli avrebbe potuto salvare Marco. dice Celestino Gnazi - E invece è stato trattato con una crudeltà inimmaginabile. Spero che i giudici ne tengano conto quando infliggeranno le condanne. La famiglia Vannini, dopo i silenzi ingiuriosi degli imputati, ha dovuto assistere alle loro difese contro l'evidenza e la ragionevolezza ed ora spera in una conclusione processuale rapida e giusta». Federico e la mamma chiamano il 118 dopo lo sparo. Omettono di dire che Marco è stato colpito da una pistola. La richiesta di aiuto è annullata.

LA MAMMA: ORA PAGHINO
Passa mezz'ora e richiamano il 118. Parla al telefono Antonio Ciontoli: «Si è ferito con un pettine - dice a un'operatrice Ares ha avuto uno spavento». Arriva l'ambulanza ma solo all'1 di notte gli operatori sanitari vengono informati della verità. Il cuore di Marco dopo l'agonia si ferma alle 3.10. Ciontoli ha detto ai giudici di aver premuto il grilletto «per fare uno scherzo». Marina Conte, la mamma, è disperata: «Una parte di me è sollevata per l'esito della perizia ma ho anche la consapevolezza, per l'ennesima volta, che mio figlio poteva essere salvato. Per quanto mi riguarda il processo ora è finito. Paghino per quello che hanno fatto, ognuno secondo le proprie responsabilità: erano tutti maggiorenni in quella casa e avevano il telefonino. Avrebbero potuto salvarlo».