Slalom tra le regole/Il Referendum del Commissario

di Mario Ajello
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Martedì 21 Febbraio 2017, 00:05
È in arrivo sulla scena della Capitale un nuovo ritrovato della neo-politica. Il Referendum del Commissario Politico (in sigla: RCP). Proprio un referendum, no. Diciamo un sondaggione.

O magari una catena telefonica: «Lo vuoi o non lo vuoi lo stadio?». «Sentiremo la popolazione interessata», è l’annuncio di Grillo. Lui che è sempre stato un nemico pervicace dell’«ecomostro» ma tra una svolta e l’altra da mattatore qual è ora sembra diventato stadista, o almeno possibilista: e dunque parrebbe che questo matrimonio s’ha da fare. Parafrasando il Manzoni. Il Beppe che non è cittadino romano, il Grillo capo partito non eletto né qui né altrove, cala ancora una volta sull’Urbe per decidere (si fa per dire) e per contare e sembra un po’, in versione comico-politica, don Gonzalo Fernàndez de Cordoba: lo spagnolo che governava lo Stato di Milano ai primi del ‘600 e di cui si parla nei «Promessi sposi».

Che il sindaco Raggi sia stato commissariato da fuori, spogliando i cittadini romani della loro sovranità, ormai si sa. Appena il Campidoglio non sa decidere, per imperizia, per incapacità di valutazione o per divisioni interne, si ricorre al Commissario Politico Beppe che anche del successore di Berdini si occupa come se la sindaca fosse lui: «Stiamo valutando». 

Intanto, la richiesta del parere ai cittadini su un’opera pubblica, strumento pur legittimo e previsto dagli statuti comunali, in questo caso dello stadio sembrerebbe rappresentare una trovata tra il naif e il pop. Non ci sarebbe bisogno di chiedere ai cittadini se fare o non fare uno stadio, perché è diritto delle società di calcio - secondo la legge ma dentro i limiti di legge - poterlo realizzare. Il problema riguarda il valore che la consultazione popolare, ammesso che si faccia e chissà come si farà (via blog magari?), potrebbe avere. Trattandosi di un referendum consultivo, il responso sullo stadio non costituirebbe un impegno per le istituzioni e non potrebbe rimuovere norme, vincoli e prescrizioni di legge. Com’è, per esempio, il vincolo sull’area di Tor di Valle voluto dalla soprintendenza all’archeologia.

Un cittadino può dare un parere ma non sostituirsi al rispetto della legalità Se ci fosse, per fare un esempio, un referendum in cui viene chiesto alla cittadinanza se vuole abbattere il Colosseo perché così si circola meglio, l’Anfiteatro Flavio anche se il sì vincesse con il 99 per cento dei voti non potrebbe essere abbattuto. Perché c’è la garanzia giuridica di altri interessi - in questo caso il bene culturale o l’ambiente - che resterebbe insormontabile.

Ecco, questo spettacolare referendum-sondaggione non potrebbe né vietare né imporre lo stadio. La trovata del don Gonzalo Fernandèz non de Cordoba ma di Genova appare così, più che altro, una scorciatoia e un’ennesima fuga dalle responsabilità politiche a cui ci hanno abituato. L’idea di Grillo, ammesso che regga, varrà quel che varrà. Come una mandrakata minore, in omaggio a Tor di Valle una volta tempio di “Febbre da cavallo”.
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