Campidoglio/ Se “l’onorevole” non abita più qui

di Claudio Strinati
3 Minuti di Lettura
Giovedì 1 Settembre 2016, 00:05
Onorevole è l’appellativo normalmente rivolto ai deputati e non certo ai consiglieri comunali. Ma Roma ha sempre fatto eccezione per motivi che nessuno sa bene spiegare. Del resto non esiste nessun provvedimento legislativo che giustifichi l’“onorevole” per i deputati stessi e poche altre categorie politiche.

È soltanto un’abitudine antica che sembra risalire addirittura alla Camera Subalpina del 1848 senza avere alcuna forza normativa. Quindi la proposta del presidente del Consiglio comunale di Roma, Marcello De Vito, di abolire l’“onorevole” per i consiglieri comunali della città eterna è legittima, ma preoccupa un po’ perché potrebbe riflettere un’idea troppo minimalista, verrebbe da dire quasi “crepuscolare” di Roma, un’idea dettata da una imprecisa cognizione del ruolo e del significato di questa città che non del tutto a torto fu definita “città eterna” per una rilevanza storica, etica, culturale che non può e non deve essere mortificata, a prescindere dalla situazione attuale indiscutibilmente gravata da innumerevoli carenze.

Bisogna conoscerla sul serio questa Roma non certo per una astratta presa di posizione ideologica o, peggio, per una retorica definitivamente destituita di senso, ma solo per una esigenza di responsabilità storica imprescindibile per chi è chiamato a governarla e amministrarla. Quindi nulla di male a chiedere l’abolizione dell’“onorevole”, purché questo non corrisponda a una inutile mortificazione. Onorevole, effettivamente, è uno di quei termini al cui significato raramente si pensa tranne a farne oggetto di scherno del tipo: quello sarebbe un onorevole? Ma onorevole di che? Di rispetto, si potrebbe rispondere e chiedersi se abbia senso o meno una discussione su questo punto. Non giuridico, ma umano, comportamentale.

L’individuazione degli appellativi esatti è una vera iniziazione, soprattutto per chi ha incarichi e responsabilità pubbliche. «Come si deve dire?», mi sono domandato ripetutamente quando ero aspirante servitore dello Stato. Quando incontri l’ambasciatore come devi chiamarlo? E il prefetto? Il vescovo? Il cardinale? Il direttore generale? Difficile, sulle prime, la scelta tra eccellenza ed eminenza. Il vescovo poi, che è eccellenza, può essere chiamato anche monsignore? Il duca non è più duca ma come lo si può chiamare per non offenderlo e non fare la figura dello scemo? Dica duca! E il rettore (Magnifico solo all’Università, mi pare)? Il parroco? Reverendo va bene?

 
La suora, madre o sorella? Un frate francescano? Un gesuita? L’unica certezza era per me che il Papa si chiama Santità, anche se è vivo e vegeto e quindi non può essere stato ancora proclamato santo. Ma metti che un incauto lo chiamasse eminenza, in altri tempi sarebbe stato scomunicato a dir poco (eminenza, si badi bene, è il cardinale ma anche il prefetto). Non basta che l’appellativo sia lusinghiero, deve essere soprattutto attendibile. Per forza è lusinghiero! Potete pensare che a un capo di Gabinetto ci si possa riferire con un appellativo diminuente, tipo “vostra modestia”, “infamità”? Gira, gira rieccoci al politically correct.
Ma non sarebbe meglio usare le cariche come appellativo? Quando incontro il presidente gli dico: buongiorno presidente, quando incontro il deputato gli dico: buongiorno deputato. Trilussa l’ha scritto in una poesia, scolpita sotto la statua che lo ricorda nella omonima piazza romana di Trastevere: «Mentre me leggo er solito giornale/ spaparacchiato all’ombra d’un pajaro/ vedo un porco e je dico - Addio majale! -/ vedo un ciuccio e je dico - Addio somaro! -/ Forse ‘ste bestie nun me capiranno/ ma provo armeno la soddisfazione/ de poté dì le cose come stanno/ senza paura de finì in priggione». Era il tempo in cui era molto usato l’appellativo Duce, peraltro onorevole pure lui. L’appellativo rifletta la vera sostanza della funzione, non sia la sua grottesca distorsione, ipocrita e retorica. Se fossimo certi di poter sempre e comunque preservarne la “dignitas” sarebbe bene mantenere l’“onorevole”. Esercitandolo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA