Roma, bimbe arse vive nel camper, il clan Halinovic nel mirino: «Sapevano i segreti di Yao, la cinese morta»

Roma, bimbe arse vive nel camper, il clan Halinovic nel mirino: «Sapevano i segreti di Yao, la cinese morta»
di Alessia Marani e Camilla Mozzetti
4 Minuti di Lettura
Giovedì 11 Maggio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 18:57

Faide, guerre, liti furibonde e poi summit per ritrovare la pace. Quando nei campi rom della Capitale succede qualcosa subito le famiglie più potenti si riuniscono e cercano di sbrigarsela tra loro, prima che intervenga qualche ficcanaso dall’esterno. Guai a fare uscire voci o notizie non controllate. In questo caso non c’è perdono. E scatta la damnatio: via dalla comunità. E Romano Halinovic, il papà delle tre sorelline morte nel rogo del camper a Centocelle, potrebbe avere detto una parola di troppo, scatenando la vendetta. È la nonna delle bambine a supporlo: «La nostra famiglia è stata minacciata quando era nel campo di Salviati a Tor Sapienza, forse per via della vicenda di quella studentessa cinese». Gli inquirenti stanno verificando, per il momento lo escludono. 
 

 

SOSPETTI DELATORI
L’ipotesi è che gli Halinovic possano avere avuto un ruolo nell’identificazione dei tre rom finiti in manette per la morte di Zhang Yao, scippata e travolta da un treno mentre inseguiva i ladri ai margini del campo rom di Salviati. Ma c’è un’altra pista. Un episodio è finito nel mirino degli investigatori, altro tassello nella faida all’origine di tanto odio e dolore. A fine gennaio la Polizia locale della Capitale arresta tre rom all’interno del “villaggio della solidarietà” (così si chiamano a Roma i campi regolari) de La Barbuta, ai confini con il Comune di Ciampino. 

IL PIZZO
Qui, dove gli aerei atterrano e decollano ogni giorno tra colonne di fumi tossici di plastica e ferraglie bruciate, i tre rapinano armati di P38 un altro “inquilino” del campo a cui portano via un antico anello d’oro e gioielli di famiglia. Ma non è una semplice rapina, perché la vittima denuncia e gli investigatori sono convinti che dietro ci sia il racket dei posti letto e della gestione della baracche, per cui i nomadi pagano il pizzo ai più potenti. Cacciati da Salviati, gli Halinovic si riparano per qualche mese proprio a La Barbuta dai parenti, ma subito dopo gli arresti di gennaio, vanno via anche da qui. Provano a rientrare a Salviati ma non li rivogliono.

Così a febbraio papà Romano porta sua moglie Mela e gli 11 figli, tra cui le tre sorelline Elisabeth, Angelica e Francesca, nel parcheggio del centro commerciale Primavera di Centocelle. Via, isolato, come un appestato. Venerdì scorso a 500 metri brucia un altro camper usato come magazzino e secondo fonti investigative sempre riconducibile a lui. Eppure una volta il clan di Romano contava. Era ai suoi che a Salviati i rom si rivolgevano per risolvere problemi o capire come sistemarsi. Ma qualcosa si è spezzata. Forse è arrivato qualcuno più potente o forse qualcun altro, esasperato, ha deciso di ribellarsi. Da qui il raid, la vendetta dell’altra notte. La più atroce. Tutte ipotesi su cui Digos e Mobile stanno facendo accertamenti.

I SUMMIT
Chi conosce Romano sa che è distrutto. I poliziotti ieri lo hanno interrogato per ore, fino al tardo pomeriggio, in Questura, insieme con Mela che ha varcato gli uffici della Mobile scalza e con un neonato in braccio. Oggi le famiglie torneranno a riunirsi, il tam tam è già partito. Pure su questa vicenda bisognerà fare luce. Decidere se “aiutare” gli inquirenti facendo costituire o meno l’attentatore. Nel video in mano alla Procura si vede un giovane molto magro, volto scoperto ma incappucciato che getta la bottiglia con la miccia accesa contro il camper. Bisognerà valutare il da farsi, come era accaduto del resto ad altri Halinovic della grande famiglia di Romano, quelli che vivono nel campo della Monachina (zona Sud Est) e che nel maggio del 2015 vennero incriminati per avere investito e ucciso la domestica filippina Perez Adorno Corazon, alla fermata del bus. All’inizio tentò di costituirsi Bantho Halinovic, il padre di uno dei giovani fratelli che erano nell’auto pirata. Ma la sua versione fu smentita dai fatti.
 

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