E che quindi prima o dopo anche la Costituzione cadrà, come tutte le cose, sotto la legge del tempo e della fantasia umana. Altri invece ne hanno lamentato la deriva autoritaria, temendo che la trasformazione del Senato, unitamente alla nuova legge elettorale, possa attribuire al vincitore poteri esagerati. C’è del vero in questa critica. Ma ancor più vero è il sospetto che essa sottintenda l’auspicio di mandare a casa il presidente del Consiglio. Perché, come accadde quarant’anni fa per il divorzio, anche in questo caso la posta in gioco non sarà la novità normativa quanto la guida politica: allora la democrazia cristiana di Fanfani, oggi il Pd di Renzi. Così è fatto il nostro Paese. E così sia. La forzatura strumentale di questo referendum non deve tuttavia farci dimenticare che la riforma mira a rimediare, per la prima volta, alle storture istituzionali nate, nel 1948, dal terrore di un esecutivo troppo forte. Quel terrore, allora giustificato dalla funesta esperienza ventennale fascista, ha creato un tale garbuglio di interdizioni per cui ogni decisione, da chiunque adottata, è precaria e incerta, e comunque di difficile e lunga realizzazione. Il cosiddetto bicameralismo perfetto, che viene ora opportunamente eliminato, non ne è il solo esempio.
La Costituzione pullula infatti di organismi che non possono decidere ma possono impedire: le Procure, i Tar, le Regioni, fino ai comitati sorti sulla concezione dei cosiddetti “interessi diffusi” elaborati proprio dai principi catto-marxisti di solidarietà e di tutela allargata.
Se il Paese si è fermato, è stato anche perché, chiunque lo guidi, non ha la possibilità di intervenire, in tempi ragionevoli, nei settori interessati. A questo la riforma renziana comincia a porre rimedio. È una riforma timida, che non incide per esempio sulla giustizia, mantenendo la contraddizione tra un processo penale anglosassone e l’obbligatorietà dell’azione penale, l’unità delle carriere ecc. contemplate dalla Costituzione ma con esso incompatibili. Ed è una riforma - per ammissione dello stesso premier - imperfetta, come lo sono tutti i tentativi di cambiare un organismo con interventi settoriali, che ne toccano la sistematicità . Ma , come dicevamo, è un bicchiere mezzo pieno. E una sua sconfitta rischierebbe di aggravare lo stato di torpore culturale che ci schiaccia vincolandoci a un passato ormai fortunatamente concluso.
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