Pd, sondaggio Swg: la scissione costa il 3%, danni limitati

Pd, sondaggio Swg: la scissione costa il 3%, danni limitati
di Mario Ajello
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Venerdì 24 Febbraio 2017, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 13:46

Tutti a chiedersi: quale impatto sta avendo sul Pd, dal punto di vista elettorale, la scissione guidata dal quartetto D’Alema, Bersani, Rossi e Speranza, al netto di Michele Emiliano il Che Guevara del Tavoliere rimasto con gli «allegri e frementi» (cit. Joseph Conrad) del partito di Renzi? L’ultimo sondaggio Swg fotografa la situazione, che non è quella di un’emorragia in corso in cui il sangue democrat finisce nella nuova sinistra anti-Matteo. L’impatto della scissione insomma è contenuto, per il momento. E i dati in controtendenza di Swg non confermano quelle stime secondo cui il Pd, privato della sua costola di sinistra, sarebbe precipitato al 22 per cento. Mentre il movimento degli scissionisti sarebbe capace, già in questa fase, di raccogliere il 15 per cento. 

DARE E AVERE
Questa fotografia viene ritoccata sulla base di altri numeri. Il Pd, una settimana prima della scissione, era valutato da Swg al 31 per cento. In seguito alla strappo, le intenzioni di voto degli italiani al 23 febbraio 2017 fanno registrare il Pd al 28 per cento. Un calo assai contenuto, di appena il 3 per cento dei consensi. Il partito dalemian-bersaniano è quotato al 3,2. Una cifra bassa, che deriva dal fatto che ancora l’opinione pubblica - ma anche gli stessi protagonisti - non ha capito quanti sono quelli che lasciano il Pd e che cosa vogliono fare a parte condurre una lotta contro Renzi. Non si conosce ancora insomma l’identità e il profilo programmatico di questa nuova Cosa che con l’aggiunta di Sinistra Italiana guadagna un altro 1,5 e collegata al Campo Progressista di Pisapia (altro 3,9) arriverebbe al 9,4. I nuovi voti di questa sinistra provengono, ma poco, circa il 2 per cento, dall’elettorato del Pd (che infatti è in perdita), e un altro poco (2 per cento) derivano dall’elettorato M5S. Si tratterebbe del ritorno a sinistra dei voti che erano andati da quel versante ai grillini. Il movimento di Beppe fa segnare un calo di un punto nel giro di una settimana: era al 26,2 il 16 febbraio ed è al 25,3 il 23 dello stesso mese. Confermando un calo progressivo, sia pure limitato e con il contagocce, che prosegue da tempo. Non avvantaggiando veramente ancora nessuno degli avversari. 

Le forze di centrodestra sostanzialmente si mantengono sulle stime delle scorse settimane. I dati dei vari partiti di quell’area restano invariati: Forza Italia al 12,8 (aveva il 13,2 nella precedente rilevazione); Fratelli d’Italia dal 5,0 al 5,2; Lega Nord dal 13 al 12,9. Spiega Enzo Risso, direttore scientifico di Swg, docente di sociologia e fresco autore del libro: «Con rabbia e speranza. Il nuovo volto dell’Italia in cerca di riscatto» (Guerini&Associati): «Un aspetto importante riguarda i tre poli in campo. Più o meno si equivalgono». L’attuale area di governo, di centro-sinistra, è al 31,8; il centro-destra unito al 30,9; il movimento cinque stelle al 25,3. Se questo è il quadro, e per ora nei sondaggi questo è, il prodotto della situazione è sintetizzabile in una parola: ingovernabilità. «Direi di peggio - incalza Risso - e parlerei di vera e propria ingestibilità politica». 

FRAGILITÀ
A meno che, dopo il voto, non si facciano coalizioni in Parlamento. Il che però parrebbe acrobatico e non è detto che servirebbe a superare la soglia del 50 per cento. Il 28 del Pd più il 3 di Ncd più il 13 di Forza Italia fa 44 per cento. Se si aggiungessero i voti (9,4) dell’area di sinistra non Pd si arriverebbe alla maggioranza: ma è immaginabile che quel goscismo, se non una sua parte magari anche piccola, possa andare a nozze con i centristi di Alfano? Molto improbabile, mentre è da escludere che farebbero fronte comune con i berlusconiani in nome di una governabilità post-tutto. E l’alleanza eventuale tra M5S e Lega? La somma (25 più 13) darebbe il 38 per cento. Un po’ poco. 
Dunque l’unico governo possibile, alla luce dei numeri attuali, sarebbe un governo di minoranza che va a prendersi i voti, di volta in volta, sui vari provvedimenti per diventare maggioranza. Ma è evidente la fragilità che ne deriverebbe. 

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