Democratici e Progressisti, il nuovo partito dei bersaniani avvisa Gentiloni

Democratici e Progressisti, il nuovo partito dei bersaniani avvisa Gentiloni
di Claudio Marincola
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Domenica 26 Febbraio 2017, 09:49 - Ultimo aggiornamento: 13:51
Dalla prima convention del Teatro Vittoria è passata solo una settimana ma insieme all'immagine di copertina sono cambiate molte cose: il nome ora c'è (Art.1- Movimento Democratici e Progressisti) non si canta più bandiera rossa, è scomparsa la scritta Rivoluzione socialista e sullo sfondo c'è l'articolo 1 della Costituzione, il nuovo mantra. Il luogo scelto per la seconda convention scissionista è la Città dell'altra economia, fino ieri territorio dei grillini romani. L'obiettivo è ricomporre la frattura con i giovani, con il mondo della scuola, ricostruire un centrosinistra plurale per dare all'Italia «una società più accogliente, equilibrata, meno individualista». E si va avanti, a sinistra, s'intende. Senza voltarsi ad osservare quello che ci si è lasciati alle spalle.

Nel frattempo da Ravenna arriva l'addio di Vasco Errani, che però non va con i bersaniani e assicura di «non voler fare un nuovo partito», ma «un movimento che promuova un nuovo campo di idee del centrosinistra».
A Roma intanto è cambiato il terzetto: il dietrofront di Emiliano ha lasciato un posto per Arturo Scotto, l'ex capogruppo di Si che nella foto opportunity ora figura accanto al governatore toscano Enrico Rossi e a Roberto Speranza. Mutamenti, fasi di passaggio, ripete Rossi, sottinteso: «Il messaggio agli amici che sono rimasti nel Pd è una domanda: vogliono fare la conta o vogliono i contenuti?».

PATRIMONIALE
Ed eccoli i contenuti: sì all'Imu anche per le prime case. Sì ad una patrimoniale sulle grandi ricchezze, perché «alle tasse ci pensa Renzi». Andrea Orlando che si candida contro l'ex premier? «Stimabile», resta freddo Rossi. Impegno sullo Ius soli «per dare cittadinanza ad un milione di stranieri». Sostegno e al tempo stesso «condizionamento» al governo Gentiloni. Formula che forse rende più incerto il cammino dell'esecutivo, ma condanna gli oppositori più tiepidi e fragili a tenerlo in piedi per non anticipare troppo il voto. Perché ora il rischio di un «incidente a sinistra», si osservava ieri dietro le quinte, è più concreto.

Sarà un caso ma il primo ad essere citato da Roberto Speranza è stato Aldo Moro, il suo elogio della «verità illuminante». Il secondo è Papa Francesco, «l'unica voce dinanzi al mutismo della sinistra». In platea, in uno spazio molto ridotto, si affollano intanto bersaniani di rango e simpatizzanti della prima ora: D'Attorre, Gotor, Fava, Calderola, Zoggia, Ditraglia, Epifani. E c'è anche in rappresentanza di Sinistra italiana l'ex vice ministro dell'Economia Stefano Fassina, in piedi, un po' in disparte. Assenti Bersani e D'Alema che ha dato il suo sostegno, ci sarà, ma ha fatto sapere che non sarà un frontman. E se il governatore del Lazio Nicola Zingaretti dopo aver meditato a lungo si è schierato con Orlando, il suo vice alla Pisana Massimiliano Smeriglio è qui a difendere le ragioni della scissione.

I NODI
I primi sondaggi però non sembrano entusiasmanti. E arrivano al pettine i primi nodi della nuova forza nata dalla fusione di ex pd e di ex sinistra italiana. Intanto il nome: Dp fu usato dai dem alle regionali del 2014 e già si annunciano carte bollate. A palazzo Madama il gruppo dovrebbe essere formato da circa 12/13 senatori. Chi farà il capogruppo? In pole position ci sarebbe il bersaniano Miguel Gotor. Non è detto che la spunterà. Alla Camera con un po' di ottimismo si parla di una pattuglia di una trentina di deputati. E di Speranza e Scotto che sarebbero pronti a lasciare il posto a Ciccio Ferrara, sempre che non si decida di cedere il passo ad una donna. Prossimo appuntamento l'11 marzo al teatro Brancaccio con l'ex sindaco federatore Giuliano Pisapia.