Il contagio civico sbarca sul Tevere

di Mario Ajello
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Lunedì 8 Febbraio 2016, 23:55 - Ultimo aggiornamento: 9 Febbraio, 00:03
E' l’invidia il primo effetto su Roma, e su altre città, delle primarie milanesi. A Milano è andata in scena una competizione non auto-referenziale, non interna alle logiche politiche o politiciste, ed estremamente ibrida e trasversale tra culture diverse. Con tanto di votanti in buona parte non legati alla sinistra classica, o addirittura a qualche corrente o clan della medesima, ma spinti ai gazebo in maniera post-ideologica dalla voglia civica di partecipare. Si può dire che questo tipo di situazione è replicabile a Roma o a Napoli? Al momento non si può proprio. Mancano alcune condizioni che possono rendere Roma simile a Milano. 

Per esempio il fatto che mentre il Giubileo stenta a dare centralità a se stesso e dunque all’Urbe che lo ospita e lo avrebbe voluto vedere più popoloso, Milano vive la grande spinta creata dall’Expo, e concretizzatasi nella vittoria del super-manager Giuseppe Sala come simbolo del pragmatismo amministrativo a basso contenuto di appartenenza.

E ancora: Roma resta tramortita da Mafia Capitale, svuotata di energie per effetto di quell’intreccio tra poteri marci di cui i partiti sono stati parte integrante e decisiva, in preda a una catalessi che non sta facendo decollare nell’attenzione pubblica questo inizio di campagna per le primarie. Il paradosso è che la vittoria di Sala e del profilo che rappresenta ha subito contagiato il centrodestra, e ieri sera infatti l’unico accordo emerso nell’incontro tra Berlusconi, Salvini e Meloni è stato Stefano Parisi, a sua volta un manager, come candidato dei moderati per Palazzo Marino.

Questo stesso effetto è arrivato a Roma ma non nella Roma del Pd: in quella del campo opposto. Con la ricerca, Marchini o non Marchini che comunque non rinuncia alla sua caratura civica, di un candidato del centro-destra che qui possa essere capace di raggiungere un ampio elettorato non per forza etichettabile secondo le logiche tradizionali. Da questo punto di vista, anche Gianni Lettieri, in corsa a Napoli contro De Magistris e contro Bassolino o chi al suo posto vincerà le primarie, presenta requisiti non del tutto riconducibili a Forza Italia. 

E pensare che proprio la sinistra romana sarebbe quella più bisognosa di aria nuova, o del vento del nord, visti i disastri amministrativi e giudiziari da cui proviene e da cui fatica a risollevarsi. Basti pensare che in due anni, gli iscritti al Pd nella capitale si sono dimezzati, e siamo a meno 55 per cento. Il problema della partecipazione, diretta conseguenza di quello della sfiducia o perfino della rabbia, rischia di essere abnorme nelle primarie del mese prossimo per il Campidoglio. Se nell’aprile del 2013 andarono ai gazebo, per la gara vinta poi da Marino, 105.000 romani, adesso questa quota sembra una chimera (mentre Milano ha mantenuto più o meno la stessa affluenza registrata al tempo di Pisapia) e i motivi sono evidenti. Ma c’è un aspetto in più che rende politicamente differenti le due città. 

Matteo Renzi ha messo la faccia e la testa nella sfida di Milano, e guai a banalizzare il successo di Sala come antipasto del Partito della Nazione (che al momento è come la patafisica) perchè si tratta invece del tentativo di superare la sinistra d’antan e di non restare intrappolati nella vecchia ditta o negli steccati di sempre. Anche se bisognerà vedere se Sala riuscirà ad arginare la crescita della sinistra masochista che per dispetto al Pd sta per presentare una candidatura alternativa o se nella rincorsa all’elettorato classico finirà per contaminare magari tatticamente il suo profilo innovazione&inclusione che piace ai ceti produttivi, compresa una parte del mondo berlusconiano.

A Roma viceversa - dove la crisi della sinistra ha gonfiato almeno secondo i sondaggi il grillismo che a Milano non dovrebbe toccare palla - Renzi ha messo la faccia ma non ha messo (ancora?) la testa. Ossia si è pensato che l’innovazione potesse essere auto-prodotta. E ora soltanto una collettiva prova di orgoglio, non limitata al solo Pd, potrebbe da qui al momento del voto - e soprattutto dopo - risollevare le sorti politiche di una metropoli il cui rango l’ha abituata ad essere invidiata e a non invidiare mai. 


 
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