Gentiloni e Renzi, patto contro i ribelli: non faremo concessioni

Gentiloni e Renzi, patto contro i ribelli: non faremo concessioni
di Marco Conti
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Martedì 21 Febbraio 2017, 07:59
«Lunga vita al governo Gentiloni», sostiene parte della sinistra del Pd che oggi, disertando la direzione, formalizzerà l'uscita dal partito. «Se sono gli stessi che promettevano di votare caso per caso e pensano di fare gruppi parlamentari autonomi, rischiano di essere in contraddizione con se stessi», fa notare il sottosegretario per l'Europa Sandro Gozi. D'altra parte fu lo stesso Gentiloni, al momento del suo insediamento, a ricordare che il suo governo continuerà il lavoro e il programma del precedente esecutivo. Una continuità con la quale gli scissionisti dovranno fare i conti, compresa la riforma dei voucher. Non più voto caso per caso, «ma votiamo tutte le fiducie che ci verranno chieste», assicurano soprattutto i senatori.

PESO
Su cosa farà la minoranza ha finito di interrogarsi Matteo Renzi il quale, dopo l'assemblea di domenica, si considera «un semplice iscritto al Pd» e oggi pomeriggio lascerà a Matteo Orfini il compito di predisporre, con il resto della direzione, tempi e modi della conferenza programmatica e del congresso. Il rammarico per lo scarso peso che è stato dato alle dimissioni da segretario lo ha amareggiato: «Ho dato più dimissioni io in un mese che gli altri politici in tutta la vita», ripete l'ex premier che ieri ha ripreso a lavorare sul programma che intende legare alla sua candidatura alla segreteria.

Per Renzi se si tratti di una scissione o di una uscita di singoli esponenti è ancora tutto da vedere soprattutto non in Parlamento ma sul territorio. E su questo potrebbe giocare Enrico Rossi, uno dei tre che minaccia di andarsene salvo poi rientrare a Firenze e scoprire che guida la regione Toscana con i voti del Pd e che si sfalda la corrente di sindaci e amministratori locali messa su in vista del congresso. Sul rientro della componente bersaniana ormai non ci spera più nessuno: «Sono fuori da mesi, speravano di portarsi dietro altri ma rimarranno soli con D'Alema il guastatore, come lo chiama oggi Occhetto», sostiene un esponente del governo. Novità sul percorso che porterà alla elezione del nuovo segretario del Pd verso la fine di aprile, non ce ne saranno e su questo sono d'accordo anche Franceschini, Orlando e Martina, i tre ministri che compongono con Renzi la maggioranza che guida il Pd. La disponibilità a candidarsi di Orlando per la corsa alla segreteria non esclude quella del governatore pugliese Michele Emiliano che non ha ancora deciso se uscire. Un tentennamento che non stupisce il capogruppo del Pd Ettore Rosato abituato alle repentine frenate e accelerazioni del magistrato che ieri è stato lasciato con Francesco Boccia e Dario Ginefra a decidere su cosa conviene fare per tenere alta la suspense. Una soluzione per tenere dentro Emiliano si gioca sui tempi della conferenza programmatica e sulla possibilità che si votino le singole mozioni finali.

ACCORDI
Molto più rilievo ha invece per Renzi il tema della legge elettorale. «Spunta un partito al giorno», notava l'altra sera l'ex segretario dopo l'assemblea nella quale si è assistito al grande ritorno del Mattarellum rilanciato da Roberto Giachetti come da Dario Parrini. Per l'ex segretario non solo, come sostenuto da Franceschini, non si fanno accordi con gli scissionisti in vista del voto, ma non serve nemmeno il premio di coalizione e se un intervento va fatto sulla legge elettorale non dovrà andare in direzione di una maggiore dose di proporzionale. «Anzi - sostengono provocatoriamente al Nazareno - per rendere omogeneo il sistema elettorale basta trasferire alla Camera la legge del Senato». Ovvero sbarramento all'otto per cento. Un posizionamento che punta a tagliare molte delle aspirazioni dei partitini e che riprende la veltroniana vocazione maggioritaria.