Quella vendetta marca gli errori dell’accoglienza

di Paolo Graldi
4 Minuti di Lettura
Martedì 26 Luglio 2016, 00:32
La tragica storia di Mohammed Delel, il siriano di 27 anni che aspirava ad immolarsi per Allah, contiene un dettaglio che merita attenzione. Delel aveva chiesto asilo politico e gli era stato negato: problemi psichici soprattutto. Il suo viaggio di sola andata in Europa per sfuggire alla guerra si era infranto in un foglio di via, il severo biglietto di ritorno. Accolto e poi respinto Delel ha abbracciato la causa dell’Isis, che si è affrettato a riconoscerne il martirio. Il particolare ci avverte di un rischio fin qui poco valutato: che succede nella testa di chi deve tornare da dove è venuto con conseguente disastroso naufragio di tutti i sogni di una nuova vita?

Siamo oltre i foreign fighter, che tornano, addestrati, per seminare terrore e issare bandiere del Califfato. Quel “torna a casa tua” per Delel diviene la miccia pronta ad accendersi nella ribellione, nell’odio che si trasforma in cieca ritorsione cosi che il rifugiato mette i panni del nemico e si immerge nella vendetta. Il tema diverrà di attualità scottante molto presto perché la enorme questione degli immigrati sta sviluppando fenomeni collaterali che il numero dei coinvolti, sempre di più, con la complicità del tempo che passa rischia di produrre nuovi disastri con imponenti rimbalzi sociali e politici. Gli immigrati andrebbero considerati come una ferita aperta che va curata, chiusa, perché se è tenuta aperta fatalmente si infetta, dilaga e contagia. L’immenso serbatoio di presenze giunte dall’Africa non può ristagnare, non è pensabile che questo nuovo popolo sia costretto a restare in piedi su se stesso, senza possibilità di muoversi ed anche obbligato a farlo integrandosi realmente e non solo nei sermoni del “volemose bene”, comunque.
 
Approdati dopo aver patito di tutto, soprattutto rischiato la propria vita, gli immigrati respirano l’aria del paradiso della libertà, la notte scorre nel silenzio senza il risuonare delle artiglierie che le tante guerre civili tengono sempre accese. Ma a quest’aria ci si abitua presto. E il paradiso comincia a scottare. I soldi che dapprima sembrano tanti, davanti ai prezzi della merce nei supermercati, diventano pochi e si fa largo una fame diversa, la fame di essere come gli altri, i locali.

Qui il discorso si fa delicatissimo e se non si sta attenti si rischia d’essere male interpretati. Ma è un fatto che la visione nazionale di come amministrare al meglio questa apocalittica realtà ci ha spesso deluso: dapprima si ragionava sulle convenienze di una manodopera a basso costo e disposta a tutto, poi si è sperato che lo Stivale rappresentasse soltanto la lunga strada verso il nord, e poi ancora che altre strade venissero percorse e investissero altri confini. Ora siamo alle prese con gli sbarchi che non si è riusciti a impedire e chi osserva che quest’anno sono meno numerosi degli anni scorsi omette di considerare che i nuovi arrivi si sommano ai vecchi e poco consola che siano diminuiti di qualche centinaio di unità. La sequenza di fatti di sangue, il vero filo rosso che li lega tutti, mostra appieno l’ingresso del Continente (Francia e Germania in prima linea per ragioni diverse ma simili nei risultati finali) di una inedita minaccia: variegata, multiforme e tuttavia devastante. Lupi solitari già radicalizzati e pronti a rispondere agli appelli all’assalto degli infedeli o psicopatici contagiati dalla sindrome dell’emulazione esaltante, soggetti giovani o anche giovanissimi che guardano il cielo e vi intravvedono le settantadue vergini che li aspettano come promesso dai capi dell’Isis e preferiscono saltare in aria o farsi ammazzare nel conflitto a fuoco con la polizia, questo imponente materiale esplosivo andrà temibilmente ingrossandosi. Il prezzo, già adesso, è altissimo. Una sola telefonata che annuncia una bomba in un mercato, paralizzando per ore e a macchia d’olio una intera città, costa in termini di paralisi cifre mostruose. L’altra sera, per ore, migliaia di uomini a Monaco hanno fissato come in un fermo immagine una città e il suo intero pulsare, ha imposto anche al traffico aereo una circolazione extra corporea che è durata finché l’unico responsabile della strage non è stato trovato cadavere con una pallottola in testa e la sua pistola, ormai inservibile, ancora fumante.

Vittima del bullismo in classe quel ragazzo, nella sua cameretta mentre il padre attraversava la città col suo taxi, ha immaginato una vendetta architettando addirittura una trappola per attirare le vittime predestinate in un fast food con pranzetto gratuito. E si è ispirato a gesta simili, poco importa se innervate nelle gesta del neo nazismo o nutrite di videogiochi violenti o suggestionate dal killer della Promenade des Anglais di Nizza. Ricette e medicine per prosciugare in fretta la ferita infetta se ne vedono poche. Molte analisi, visioni strette o larghe che tentano di leggere i lampi di questa guerra, tra compiaciute esagerazioni giornalistiche (le maratone tv oltre i funerali delle vittime) e rassicurazioni che quasi producono crisi di governo, come è avvenuto per la presenza della polizia nella notte dei fuochi artificiali.

Segni comunque di uno smarrimento reale e di un’ansia che va combattuta con il tranquillante della normalità. Unico farmaco, la calma, che può conservarci la lucidità necessaria a prendere le decisioni, anche non leggere, che la situazione impone. L’altra prospettiva non è consigliabile: affidarsi solo e soltanto al senno del poi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA