La partita all’Onu e l’ostacolo per l’Italia

di Marco Gervasoni
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Giovedì 30 Giugno 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:23
Se c’è una struttura internazionale che, ancor più della Ue, richiederebbe un ammodernamento, a fronte dei numerosi fallimenti, questa è l’Onu. E in particolare il Consiglio di Sicurezza, frutto dei rapporti di forza della guerra fredda, con i membri permanenti costituiti dagli Stati vincitori del secondo conflitto mondiale, più la Cina, entrata successivamente. Non a caso per molto tempo il Consiglio ha svolto uno scarso ruolo decisionale, mentre qualche peso in più lo ha ricoperto dopo il 1989, benché pochi conflitti degli ultimi decenni abbiano ottenuto il via libera dell’Onu. E infatti nel 2004 il segretario Kofi Annan avviò una riforma per allargare i membri permanenti, a cui si candidò anche la Germania, del resto seconda finanziatrice Onu dopo gli Usa.

Ma, a dimostrazione del carattere pachidermico della struttura, dopo 12 anni ancora si sta discutendo. Anche se il ruolo del Consiglio non va sopravvalutato, farne parte è per ogni Stato una risorsa importante, tanto che la competizione per aggiudicarsi i seggi non permanenti, assegnati a rotazione, è sempre molto accesa. Una partita in questi giorni giocata anche da noi, e il caso ha voluto che si svolgesse pochi giorni dopo il referendum sulla Brexit. Se l’uscita del Regno Unito dalla Ue fornisce infatti al nostro Paese un ruolo di primo piano nel consesso europeo, che dobbiamo far fruttare al meglio, meno chiaro è capire se abbiamo ottenuto un successo sul fronte mondiale.

Fra i tre contendenti per due seggi aggiuntivi - Svezia, Olanda e Italia - dopo anni di lavoro diplomatico eravamo dati per favoriti. Ma abbiamo raccolto meno voti di Stoccolma e per evitare una contesa defatigante, Roma e l’Aja hanno optato per una staffetta, il primo anno il seggio andrà all’Italia e dal 2018 all’Olanda. 

Una decisione sensata, tanto più che non sarebbe stata comprensibile una guerra all’ultima scheda tra due Paesi appartenenti al nucleo duro dell’Europa, proprio nel momento in cui si discute di una maggiore integrazione e addirittura di una difesa comune. Eppure, rispetto alle attese della vigilia, non ci si può nascondere un sentimento di delusione. Nonostante lo sforzo importante svolto dall’Italia nell’assistenza ai profughi, più volte elogiato dall’Onu, questo non è bastato. Né è servita l’argomentazione ragionevole per cui gli altri due contendenti, Svezia e Olanda, appartengono a una stessa unità geografico-economica, quella del Nord Europa, mentre l’Italia avrebbe rappresentato l’area mediterranea.

E se Roma ha raccolto i voti soprattutto degli Stati africani e arabi, l’Olanda ha fatto valere la sua antica identità coloniale, aggiungendovi quelli asiatici. Durante la guerra fredda l’Italia seppe ritagliarsi un ruolo importante all’interno degli equilibri mondiali, confermato negli anni Sessanta e poi all’inizio degli anni Novanta, quando due esponenti di prestigio come Amintore Fanfani e Bettino Craxi furono nominati ad altissimi incarichi dell’Onu. Oggi il mondo è completamente cambiato, e anche grandi players faticano a trovare un ruolo in situazioni sempre più ingovernabili. E non sarebbe generoso affermare che nella Seconda Repubblica l’Italia non abbia svolto politica estera. È però mancata continuità, spesso l’alternanza dei governi ha prodotto interruzioni di strategia o mutamenti di rotta non utili all’immagine e soprattutto alla forza del nostro Paese.

In quest’anno in cui l’Italia siederà al Consiglio di sicurezza e poi, dal 2017, quando guiderà anche la presidenza del G7, bisognerà fare di tutto per dimostrare che abbiamo buone idee per il governo del mondo.
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