Rigopiano, l'uomo-talpa dei vigili del fuoco che ha trovato i tre bimbi: «Ecco come sono sopravvissuti»

Rigopiano, l'uomo-talpa dei vigili del fuoco che ha trovato i tre bimbi: «Ecco come sono sopravvissuti»
di Italo Carmignani
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Domenica 22 Gennaio 2017, 13:43 - Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 12:47

dal nostro inviato

FARINDOLA - Piccole mani si muovono nel buio della stanza, mani più grandi le toccano, poi le voci e il pianto. Accade due volte, sotto la montagna stregata. La prima dopo il tremendo boato sceso dal monte, la seconda quaranta ore più tardi, quando tornano la luce e il respiro della vita. «Stavo giocando a biliardo, ma cosa è successo?», chiede Samuel Di Michelangelo, figlio di Domenico e Marina Serraiocco, ancora dispersi sotto metri di detriti di cemento e ghiaccio, metamorfosi tragica di un albergo chiamato Rigopiano, quando il bimbo riemerge dal buco scavato dai soccorritori. Lui è vivo, i genitori chissà.


Samuel non era solo nell’intercapedine della vita formata dal destino con dentro l’ossigeno, da mangiare, da bere e una stufa, formula magica con cui sopravvivere sotto due metri di ghiaccio e cemento, resti ingloriosi di una bomba di neve e pietre. Prima dell’impatto, quella sorta d’igloo era la sala d’accoglienza e svago, c’erano il biliardo e i giochi, a pochi metri il bar-cucina. Con lui c’erano anche gli altri ragazzi salvi per il miracolo dei ghiacci o, come ricorderà Lorenzo Gagliardi, maresciallo della Finanza, per quel presepe piazzato al centro della stanza, posticipo di un Natale ancora felice.

Il presepe con il bambinello lo troverà Riccardo, uomo-talpa dei vigili del fuoco, lo stesso che ora scava fino a notte fonda nel giorno della disperazione dopo la notte dei miracoli alla ricerca di altre persone cui far corrispondere la voce sentita dalle sonde. «Quando ho visto il presepe e mi sono apparsi loro tre bambini – racconta – ho capito che Dio c’è e a volte non si distrae. Come sono sopravvissuti? All’interno di quella intercapedine c’era dell’acqua minerale, un barattolo di Nutella e delle merendine. Ma soprattutto c’erano il caldo e l’aria mista al gas di combustione, almeno credo, perché l’odore forte faceva pensare a questa mistura. Certo, non fossimo arrivati in tempo poteva essere fatale e allora addio salvataggio. Ma è andata bene, al resto neanche voglio pensare». «Spero ancora che trovino mio fratello e mia cognata vivi», dice lo zio di Samuel, Alessandro.

Nella grotta della Fortuna, dove tutti aspettavano inutilmente l’arrivo dello spazzaneve per poter partire verso casa, oltre a Samuel c’erano anche Ludovica e Gianfilippo, figli di Giampiero, il cuoco ospite salvo per caso perché uscito prima della devastazione, e di Adriana Brenceanu, anche lei sopravvissuta. Di origini slave, mamma Adriana ha raccontato di avere sofferto all’inizio soprattutto il buio. «Ma alla fine ci si fa l’abitudine - ha confidato ai soccorritori - perché quando senti le voci dei tuoi figli, quando tocchi le loro mani tutto passa. E la speranza torna forte. E noi ci speravamo». Si deve a suo marito se ci sono i vivi perché se lui non avesse dato l’allarme, li avrebbero trovati dopo giorni e forse sarebbe stato tutto inutile.

Nella stanza dove si stringevano gli ultimi tre bambini recuperati dopo Gianfilippo, c’era Edoardo Di Carlo, figlio di Nadia Acconciamessa, papà Sebastiano. Lei è morta, lui è disperso. Edoardo ricorda poco, ha rimosso. «Pensavo fosse il terremoto, siamo rimasti al buio. Ma dov’è la mia mamma?». Il racconto dei bambini non si può spingere oltre, non si possono fare le domande, come formule mefitiche nelle risposte si potrebbero riaccendere ricordi terribili, angosce da consumare piano e da spegnere con i tempi imposti dalla mente. Fisicamente stanno bene. La loro tempra è forte. Ma, dicono i medici che li tengono sotto osservazione, «psicologicamente sono provati». Ai bambini, suggeriscono infatti gli psicologi, meglio non fare alcun riferimento specifico alla tragedia ma lasciare che siano loro a raccontare i fatti. «Possono annullare uno spazio temporale nella loro memoria», dicono gli esperti.

I quattro ragazzi hanno mangiato quanto serviva perché non li abbandonasse il respiro. «Soprattutto sono riusciti a bere, un fatto fondamentale, più del cibo. Senza mangiare si resiste giorni, senza bere molto meno», aggiunge l’uomo talpa, mentre si dispera di ritorno dalla montagna. Il sabato non ha portato bene. Solo il bollettino medico dei ragazzi che li vuole tutti in forma rallegra la truppa dei soccorritori. Il resto delle giornata non ha niente in regalo. «Neanche un cenno d’ipotermia, i ragazzini stanno tutti bene e presto potremo dimetterli», dice il bollettino medico del reparto dell’ospedale di Pescara messo a disposizione ai superstiti della montagna.
Un reparto chiamato rianimazione, come se il ritorno alla vita si potesse etichettare. I quattro ragazzini ora un futuro condensato in una richiesta del piccolo Samuel: «Posso avere un hamburger? Mi raccomando col ketchup».

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