L’orrore quotidiano che sembra sgorgare da serie televisive

di Luca Ricci
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Lunedì 30 Maggio 2016, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 16:36
Il corpo carbonizzato di una ragazza incensurata, dalla vita apparentemente normale, in via della Magliana è di per sé una notizia sconvolgente, una notizia che non avremmo mai voluto leggere.

Se poi, superato l’orrore iniziale, ci avviciniamo ancora di più ai fatti nudi e crudi spunta fuori un’altra ombra, forse altrettanto inquietante: la mancanza di stupore per questo genere di notizie, come una sorta di assuefazione del nostro immaginario alla violenza inaudita di questi nostri tempi. In attesa che gli inquirenti, come si dice in questi casi, facciano il loro lavoro e venga iscritto qualcuno nel registro degli indagati, di una cosa siamo già sicuri: le nostre vite sembrano le prosecuzioni delle nostre serie tv preferite, quelle che vanno di moda oggi, quelle dove non ci sono i buoni, quelle che (così almeno dicono i loro autori) vogliono farci guardare in faccia senza mediazioni il Male.
 
Se leggo di un corpo di una ragazza carbonizzato - come nel caso di Sara Di Pietrantonio - la mente corre subito alla truculenta scena di “Gomorra” in cui Ciro di Marzio detto l’Immortale strangola la sua stessa moglie per poi chiuderla in una macchina e incendiare tutto. Se per giunta questo corpo carbonizzato è stato ritrovato in via della Magliana, eccomi subito nelle puntate di “Romanzo criminale” e non più dentro una notizia di cronaca nera. Non è un mistero che le fiction tv più premiate e vincenti delle ultime stagioni abbiano per protagonisti i cattivi, che nel corso del tempo sono finiti per diventare più simpatici dei buoni. A che prezzo? Qual è il rischio di fare l’apologia del serial killer, del criminale, del malavitoso? Quanto è alto il rischio emulazione da parte delle fasce più deboli - ma non solo, a ben vedere - della popolazione (che però hanno il televisore e pure il decoder)?
Senza imbastire inutili buonismi, la questione non è quasi mai tematica, ma sempre formale. Si può parlare di tutto, purché lo si faccia in modo intelligente, grandioso, geniale. L’amoralità è un lusso che solo le grandi scritture si possono permettere. Il punto quindi diventa: serie tv come “Romanzo criminale” e “Gomorra” possono davvero guardare in faccia il Male senza ricorrere al contrappeso di un buono o rischiano soltanto di essere la versione “nera” di quelle che una volta venivano chiamate soap opera? In “Romanzo criminale” tutto sommato la figura dell’ispettore resisteva, mentre in “Gomorra” vengono rappresentati solo i camorristi e, benché la serie sia costruita per spezzare la dinamica dell’identificazione da parte dello spettatore nei personaggi, gioco forza siamo costretti a fare il tifo per il meno cattivo di turno: funziona così la psicologia umana, e chi scrive e gira e produce le serie tv lo sa benissimo. Continuare a rifletterci sopra, senza isterie, forse è già una parziale vittoria della ragione sulla caterva d’immagini spesso violentissime - sicuramente spettacolari e perciò afferenti alla nostra sfera più bassa e irrazionale - che siamo ormai abituati a sorbirci durante la digestione serale.
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