Migranti, il caso dei marinai indagati Adesso l'inchiesta punta su Malta

Migranti, il caso dei marinai indagati Adesso l'inchiesta punta su Malta
di Michela Allegri, Sara Menafra e Lara Sirignano
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Domenica 23 Ottobre 2016, 09:47 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 12:03

Quattro ore tutte da spiegare. In un rimpallo di competenze che potrebbe aver causato la morte di 268 persone a largo di Lampedusa (i corpi recuperati sono stati 26) avvenuta l'11 ottobre 2013. Un giro di responsabilità nel terribile naufragio di profughi provenienti dalla Siria che potrebbe riguardare non solo gli ufficiali della Marina che ricevettero l'sos ma il governo maltese e le sue unità di soccorso che dovevano coordinare il salvataggio.

I pm Francesco Scavo e Santina Lionetti che hanno iscritto al registro degli indagati alcuni ufficiali della Marina ipotizzando per loro l'omissione di soccorso e l'omicidio colposo stanno verificando anche i passaggi di comunicazioni tra Italia e Malta avvenuti quel giorno. Come ha raccontato ai pm Mohanad Jammo, un primario in fuga da Aleppo che in quel naufragio ha perso due figli, sebbene lui stesso avesse chiamato i centralini italiani appena gli scafisti gliene avevano dato la possibilità e le coste di Lampedusa fossero relativamente vicine, per ore la barca avrebbe continuato ad affondare fino a ribaltarsi, senza che nessuno fosse arrivato ad aiutarli.

La Marina militare non ha mai confermato l'esistenza di una prima telefonata partita dal telefono satellitare nelle mani di Jammo alle 11 di mattina. Secondo i militari, il primo contatto con il peschereccio sarebbe avvenuto alle 12.26 e di lì a pochi minuti, entro mezz'ora, la comunicazione sarebbe stata passata a Malta che avrebbe preso la guida dei soccorsi.

Il governo maltese, ai giornali locali che all'epoca hanno dato conto dell'accaduto, ha raccontato tutt'altra versione. Durante la conferenza stampa di fine anno a dicembre 2013, infatti, il presidente Joseph Muscat ha parlato con enfasi alla televisione nazionale dell'11 ottobre della giornata più dura del suo governo perché i soccorritori del suo paese si erano mossi in ritardo «visto che gli altri non facevano nulla».

LE NAVI ITALIANE
Ma i dubbi sono tanti. Come Fabrizio Gatti dell'Espresso racconta nel reportage che ha dato il via all'inchiesta inizialmente basata a Palermo, pur avendo passato formalmente le consegne a Malta, alle 13.40 la Centrale operativa delle capitanerie di porto lanciato comunque un sos a tutte le imbarcazioni italiane in zona perché si rechino immediatamente nell'area. Stando ai registri radar dell'epoca, nella zona appena attorno al peschereccio che affonderà portando giù 268 persone, ci sono almeno due navi italiane.

La Libra, poi diventata famosa come l'imbarcazione della Marina militare che più di ogni altra ha salvato vite umane nel mediterraneo; e la Chimera, una corvetta militare. La prima è almeno inizialmente a 27 miglia marina dal peschereccio in panne e la seconda a 50. Eppure, nessuna delle due si muove in velocità per raggiungerlo. A quel che mostrano le immagini ora al vaglio di piazzale Clodio, Libra naviga molto lentamente e arriverà sul luogo del naufragio dopo le 17.30 quando ormai i maltesi stanno già iniziando i soccorsi. Chimera giunge ancora dopo.

Il comportamento della pluridecorata Catia Pellegrino, il perché di quel suo arrivo apparentemente tardivo, è uno dei punti dell'inchiesta. Se piazzale Clodio è competente sull'indagine che riguarda il centralino e le navi della Marina che al momento dei fatti si trovavano in acque internazionali, in Sicilia c'è anche un altro fascicolo: anche Agrigento infatti indaghebbe per i mancati soccorsi partiti da Lampedusa.

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