L'Italia si spopola/ Perdiamo laureati che vanno all’estero, arrivano braccianti

di Sebastiano Maffettone
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Sabato 11 Giugno 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10:39
Mio figlio lavora in Inghilterra dopo avere preso la Laurea Magistrale in Italia. Altrettanto fanno molti dei miei ex-studenti. Che pure amano l’Italia, la sua cultura, il suo cibo, gli amici e i parenti lasciati a casa.

E che spesso e volentieri tornerebbero da noi, se fosse possibile trovare un lavoro all’altezza delle loro competenze professionali. Questa è la prima cosa che mi viene in mente quando leggo i dati Istat che ci rivelano una verità importante: per la prima volta da quasi un secolo in Italia calano i residenti. Sono - al 31 dicembre 2015 - 60 milioni 654 mila, il che vuol dire 130.061 in meno dello scorso anno. Questo avviene nonostante gli stranieri continuino ad aumentare in totale - sono oramai circa 5 milioni (più del 10% della popolazione al Nord) - e anche su base annua (nel 2015 sono arrivati in Italia 11.716 stranieri in più dell’anno precedente). Questo vuol dire che il calo delle nascite è strutturalmente compensato dall’arrivo di stranieri.

 

Ora, è vero che il dato sui residenti è importante in assoluto, perché dopotutto sono loro che lavorano e pagano le tasse. Purtuttavia, il fatto in sé della diminuzione della popolazione non è grave, perlomeno in questi termini. Quello che invece preoccupa e dovrebbe farci riflettere è la composizione del trade-off tra chi parte e chi resta. In altre parole, purtroppo di solito quelli che partono sono più giovani e meglio qualificati di quelli che restano o di quelli che arrivano dall’estero, cosa che di certo non conviene a un Paese che voglia migliorare le sue performances produttive.

Il primo dato è inequivoco: il Paese invecchia, l’età media oggi in Italia è di 44,7 anni, la maggiore mai raggiunta finora. Il secondo ovviamente è più difficile da verificare. Purtuttavia, sembra certo che dall’Italia partano tanti giovani con laurea o dottorato e arrivino tanti braccianti e badanti. Dando per scontato che abbiamo la massima considerazione e rispetto per tutti costoro come persone e lavoratori, un problema grosso quanto una casa rimane. Il problema consiste nella evidente perdita in termini di capitale umano che questo tipo di scambio comporta. Un Paese che scambia personale altamente qualificato con manodopera non specializzata si condanna al deficit di ricerca scientifica, al degrado culturale, alla mancanza di innovazione e prima o poi alla perdita di efficienza. Che questo sia un pericolo non tanto vago e neppure troppo lontano da noi, lo si vede anche dai dati sulle iscrizioni all’Università. Gli studenti universitari italiani calano invece di salire di numero. E questo, naturalmente, avviene in misura maggiore al Sud, dove la speranza di trovare un lavoro dopo gli studi è minore.

A tutto ciò si aggiunge un facile computo: noi paghiamo le spese per la formazione di tanti giovani brillanti, chiamiamoli pure i costi dell’investimento. Ma poi il frutto di questo investimento non va a noi ma agli altri. Fareste mai qualcosa del genere se stessimo parlando del vostro bilancio privato?
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