Adolescenti a perdere/ Delitto da videogame banale e brutale senza pentimento

di Paolo Graldi
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Giovedì 12 Gennaio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:06
È la cronaca nera più sanguinaria e insensata, stupida e feroce che si possa immaginare quella che si dipana nel Ferrarese.

Il racconto confessione di un figlio sedicenne il quale, complice un amico poco più grande di lui, decide di massacrare a colpi d’ascia i genitori. E poi, in un delirio a mente piatta, ingoiando gli affetti più cari trasformati in odio irrefrenabile, simulare una rapina andata male, con quei due poveretti finiti nel sonno: lei, la madre di 45 anni, Nunzia Di Gianni, trascinata in cucina e il padre Salvatore Vincelli, 59 anni, buttato come un sacco di legname in garage, la testa infilata in sacchi di plastica con l’idea di non lasciare tracce. Si è risolto in una notte di domande dei carabinieri e dei magistrati via via più penetranti il caso di Pontelangorino, un paesotto nella bassa ferrarese, là dove la nebbia si taglia a fette, come la polenta.

Ma era un po’ tutto a fare acqua; il racconto, le prime stridenti contraddizioni, il comportamento del ragazzo, tutto contribuiva fin dall’inizio a far sospettare che fosse proprio lui, aiutato da un complice, poi si è detto “per vicinanza”, a montare quella messinscena, pensata in una febbre di follia fredda, studiata nei dettagli e tuttavia paurosamente ingenua.

Un delitto senza trama, una rapina senza bottino, un furto senza scasso. Era odio puro, liquido, covato per settimane, mesi, la morte dei genitori era la risposta violenta e vile ai rimproveri, probabilmente anche severi, per quei risultati scolastici disastrosi che si andavano a sommare gli uni agli altri, costruendo un disastro nel rendimento al quale il ragazzo non voleva e non sapeva rispondere cambiando la rotta del suo impegno.

Ai due minorenni viene contestata l’aggravante della premeditazione, di avere costruito una tragedia come se si trattasse di un video-gioco dove a un certo punto, esaurite le mazzate, compare la scritta game over. La scheda d’archivio di giovani che ammazzano i genitori è ricchissima, una galleria degli orrori che ripropongono quasi sempre le medesime modalità. Per qualcuno erano i soldi. È il caso di Pietro Maso che nel 1991 uccise i genitori a bastonate e festeggiò il fatto con gli amici in discoteca. Un modo rapido per ottenere l’eredità, disse poi.

Per un amore contrastato hanno usato coltelli per 69 volte Erika e Omar contro la madre e il fratellino di lei: oggi sono liberi. Ma è Ferdinando Carretta, autore dell’uccisione dei genitori e del fratello (1989) a compiere il capolavoro criminale di tenere nascosta la strage familiare assassinando i genitori e il fratello e andandosene a Londra per anni, un lavoro come pony express. Confessò davanti alle telecamere di “Chi l’ha visto?”, capolavoro di giornalismo investigativo.

Un filo rosso, rosso sangue, tiene queste storie di sentimenti vilipesi e martirizzati. I rapporti con i genitori, cioè con l’autorità, si spezzano. Si fanno avanti pretese, spesso di soldi, altre volte come risposta al disimpegno che produce rimproveri e conflitti, o anche di ricerca della «bella vita a buon mercato», frase che ricorre sovente nella ricostruzione dei moventi.

Sono i sentimenti che si frantumano e creano un ingombro insopportabile: ecco quello che accade. Esattamente come negli altri fatti di cronaca nera che, giorno dopo giorno, si registrano sul fronte, in paurosa espansione, della violenza sulle donne, che va dall’omicidio all’assalto per sfregiare con le lame o con l’acido l’oggetto dell’amore finito, che è diventato amore molesto. Impressiona la ripetitività di certi rituali, come se questi fatti seguano copioni collaudati, già visti e vissuti da altri.

Simulare una rapina domestica dopo aver trucidato i genitori, invocare l’aiuto dei vicini, allarmare le forze dell’ordine dopo la “scoperta” del delitto si mostra come il canovaccio di storie segnate dalla disfatta del rispetto umano, come se la violenza e la sopraffazione fossero l’unica via di uscita da una prigionia della mente.

«Ti do mille euro se mi aiuti, da solo non ce la faccio», avrebbe detto il giovane Vincelli per convincere il compagno a compiere la mattanza. Davvero è difficile immaginare come un ragazzo che sta per compiere 18 anni (a novembre) accetti di infilarsi in una storia di questo genere. Quel che è peggio: scoperti, rei confessi, dopo aver raccontato durante una intera notte i fatti, dopo aver portato i carabinieri in riva al fiume dov’erano nascosti l’ascia e gli abiti sporchi di sangue questi due ragazzotti non hanno mostrato alcun segno di pentimento, di angoscia, tanto meno di ripresa della realtà, di risveglio da un incubo, niente.

Movente: soldi? Macché. Nessun ravvedimento: «È successo, che volete adesso da noi?». Il verbale finisce qui, per l’istruttoria il caso è praticamente chiuso. Sulla vetrata dei ristorante in un paesotto là vicino, che la signora Nunzia mandava avanti con tanti sacrifici, nessuno ha ancora staccato l’avviso: chiuso per ferie. Per quei poveretti è chiuso per sempre.

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