Cremazione, la Chiesa dice sì ma il tabù cade solo a metà

di Sebastiano Maffettone
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Mercoledì 26 Ottobre 2016, 00:07
Qualche anno fa la Bbc decise di proporre un quesito piuttosto impegnativo: quante persone hanno vissuto finora nella lunga storia dell’umanità e in che percentuale rispetto al numero di persone attualmente in vita? La risposta, avvalendosi di dati dell’Onu e del Pbc (Population Reference Bureau di Washington), fu che i trapassati erano circa 110 miliardi rispetto ai 7 miliardi di viventi.

Insomma, non c’è partita: i morti battono i vivi di gran lunga. Questa consapevolezza deve essere tra le ragioni che hanno indotto un organo austero e di solito conservatore come la Congregazione della Dottrina della Fede e con lei Papa Francesco ad autorizzare i fedeli cattolici a far ricorso alla cremazione. In effetti, il testo pubblicato evoca esplicitamente ragioni di tipo igienico, economico o sociale, e riconosce che «la cremazione del cadavere non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo e quindi non contiene l’oggettiva negazione della dottrina cristiana sull’immortalità dell’anima e la risurrezione dei corpi».

Non si tratta in realtà del primo spiraglio aperto in questa direzione. Già negli anni Sessanta, infatti, la istruzione Piam et Constantem dell’allora Sant’Uffizio ammetteva che la cremazione in sé non è contraria alla dottrina cristiana. Ma siamo oggi al cospetto di un’affermazione più decisa e precisa. La diffusione della pratica della cremazione ha infatti indotto la Congregazione a regolare il fenomeno. Non si tratta di un piccolo passo, poiché la tutela del corpo richiama - nella tradizione cattolica - la Resurrezione di Cristo e implica qualcosa di assieme assai antico e molto moderno, sarebbe a dire la volontà di tenere in dovuta considerazione il corpo umano. Il valore intrinseco del corpo per il cristiano rappresenta una formidabile sfida al nichilismo di quanti credono che la morte sia la fine di tutto, e deriva sia dalla natura divina della creazione umana sia dalla capacità di ottenere una vita eterna tramite la resurrezione finale che richiama quella di Cristo. Proprio per ciò la Chiesa pone attenzione al corpo dei defunti, che viene bagnato con la stessa acqua benedetta che ne saluta la nascita col battesimo.

Ancora adesso, La Chiesa continua a preferire la sepoltura tradizionale, tuttavia la cremazione non è più vietata, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni empie e anti-cristiane. In questo modo, bisogna riconoscerlo, la Chiesa fa un passo in direzione di maggiore ecumenismo. La cremazione - anche se ha una lunga storia occidentale che va dagli antichi greci a Napoleone - è di casa in molti luoghi del mondo a cominciare dall’India. Vince così l’apprezzabile consapevolezza che il rapporto umano-divino rappresenta un connubio profondamente spirituale che non può essere ostacolato oltremisura dai modi e dalle forme di uscita dalla vita. 

Ma quest’apertura non è senza condizioni. Ce ne sono anzi molte, di cui - come capita - alcune più comprensibili, altre meno. La dispersione delle ceneri nell’aria non è, per esempio, consentita e fin qui nessuna sorpresa. Ma - e così lasciamo un po’ da parte il senso comune - per «evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista». Le ceneri devono essere poi conservate in luogo sacro, e anche qui nulla quaestio, ma non in casa per facilitare la preghiera (a occhio e croce è più facile pregare in casa che andando al cimitero monumentale…). 

Quello che però colpisce in questo catalogo di regole più o meno ragionevoli e ragionevolmente motivate è la difficoltà di porre dei paletti e dei limiti una volta che il dogma tradizionale non tiene più. «Cremazione no!» perché i corpi torneranno a vivere, lo capiamo tutti. Così come capiamo tutti «cremazione sì!», perché non c’è più spazio nei cimiteri e perché i tempi sono cambiati e si vogliono includere anche fedeli che preferiscono questo tipo di esito finale. Ma cremazione «sì, no, non lo so», ammettiamolo, è più difficile da digerirsi. Nella dialettica antica tra modernismo e tradizionalismo insomma la Chiesa si schiera ancora una volta a metà strada. C’è chi ritiene che ciò avvenga per ragioni strategiche, perché il popolo dei fedeli vuole più modernità e il clero più tradizione. Non nego questa possibilità. Ma preferisco credere che la religione cattolica sia intrinsecamente fatta di peccato e riscatto, che viva di una divisione tutta latina tra principi e pratiche per cui - come mi disse una volta un autorevole prelato - «difendiamo la vita ma nessuno dei mie parroci negherà l’assoluzione a una donna povera che usa contraccettivi per non avere il quinto figlio». 

In sostanza, ad alcuni potrà sembrare che la Chiesa pecchi di incoerenza, ma io preferisco credere che vada nella direzione giusta nell’ambito di una medietà tutto sommato aristotelica. Come forse tocca di necessità alle istituzioni antiche.
 
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