Centinaia sono le donne dell'Is, la gran parte delle quali non ha mai combattuto, che hanno abbandonato il gruppo negli ultimi mesi. Molte sono tornate nei Paesi natii, altre si trovano in campi profughi o centri di detenzione. Secondo interviste condotte direttamente con loro, ma anche secondo dati dell'intelligence e studi di analisti, alcune madri con bambini piccoli raccontano di essere state spinte dai mariti ad andare con loro in Iraq e Siria, altre hanno invece spiegato di aver aderito all'ideologia del gruppo e di restare impegnate per il raggiungimento dei suoi obiettivi.
Dal Nord Africa all'Europa occidentale, l'arrivo di queste donne rappresenta una nuova sfida per le forze dell'ordine, che si aspettavano un ritorno di miliziani e invece si trovano ad avere a che fare con le loro mogli e i loro figli. Poche di loro hanno combattuto in battaglia, ma le autorità le ritengono minacce potenziali nel futuro prossimo. I leader dell'Is hanno infatti impartito loro direttive precise, dicendo di tenersi pronte a nuove missioni, dagli attacchi kamikaze alla diffusione dell'ideologia estremista tra le nuove generazioni. Le autorità non hanno messo a punto una strategia da adottare nei confronti di queste donne e dei loro figli, anche perché i Paesi sono obbligati ad accettare i propri connazionali. Chi ha commesso reati andrà in carcere, ma la legge non è chiara nei confronti di chi non ha partecipato direttamente alla causa estremista, essendo “solo” moglie o madre di un jihadista.
«Ci sono casi di donne che sono state trascinate nell'Is, ma ce ne sono anche altre che sono state radicalizzate, tra cui alcune che hanno assunto ruolo importanti», spiega Anne Speckhard, direttore dell'International Center for the Study of Violent Extremism, un'organizzazione no profit che conduce ricerche sui disertori dell'Is.
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