«Ora il pre-partita è finito». A coalizioni (quasi) definite, è Carlo Calenda a lanciare ufficialmente la campagna elettorale del fronte di centrosinistra. E soprattutto a farlo ribadendo più volte di poter dire la propria. «Niente è scritto». Il convincimento al Nazareno, così come tra le file di Azione/+Europa, è infatti che strappando i collegi giusti al centrodestra si possa arrivare «se non a vincere, quantomeno a vanificare la vittoria degli altri» spiega una fonte dem. E cioè ad imporre il Partito democratico come prima formazione politica a discapito di Fratelli d’Italia e, soprattutto, ad impedire che il centrodestra ottenga la maggioranza assoluta sia a Montecitorio che a palazzo Madama. Un obiettivo che, per quanto riguarda il Senato, non appare così irraggiungibile. Per farlo, si ragiona, «può essere sufficiente crescere del 3-4%» a livello nazionale rispetto ai sondaggi attuali. E cioè, in base alle ultime proiezioni di Quorum/YouTrend per Sky TG24, toccare il 37%. Come? La base di partenza sono i 16 collegi (12 alla Camera e 4 al Senato) portati “in dote” da Calenda. Un tesoretto su cui, stando ad analisti e sondaggisti, senza l’intesa maturata ieri il Pd non avrebbe potuto contare.
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Del resto è questo il motivo per cui Enrico Letta ha tenuto i nervi saldi nella trattativa con l’ex ministro del Mise, mostrandosi determinato a raggiungere un accordo che numericamente è considerabile svantaggioso per i dem.
Ci sono poi tutta una serie di ragionamenti che vengono sciorinati all’interno della coalizione. In primis l’asse con Calenda è determinante perché ora, in assenza di un terzo polo, si può giocare la carta del «Noi contro loro». In secondo luogo: «Siamo così sicuri che Giorgia Meloni è così forte da Roma in su?». L’idea infatti è che la leader di FdI deve ancora “testarsi” alle urne e quindi potrebbe esserci qualche sorprese. Infine, i sondaggi disponibili oggi non vengono ritenuti affidabili «come in passato». A seguito della riduzione dei seggi in Parlamento infatti, i collegi sono stati rideterminati. E quindi oggi le stime vengono elaborate «solo sommando» le circoscrizioni. Ma in politica, specie all’alba di una campagna elettorale e con una soglia di indecisi astenuti che sfiora il 40%, potrebbe non essere affatto così semplice.
Le simulazioni
In ogni caso non si può non prendere per buone le simulazioni disponibili - nel grafico quella dell’Istituto Cattaneo - che mostrano come la partita si giochi fondamentalmente in 46 collegi uninominali (17 al Senato e 29 alla Camera), in cui basta un voto in più per spuntarla.
Qui i nomi dei candidati e le intese diventano determinanti. Soprattutto per indirizzare quegli elettori che nel 2018 hanno fatto stravincere il M5S e che ora, in oltre il 60% dei casi secondo l’Istituto Cattaneo, non è più disponibile a votarli. Per il Senato quindi occhi puntati quindi sull’intera Sardegna, il V Municipio di Roma, le circoscrizioni campane più piccole (Salerno, Acerra e Torre del Greco), Rossano in Calabria e Potenza in Basilicata, e poi Palermo-Settecannoli. Tutte aree “orfane” del consenso di protesta grillino del 2018. Ma anche i collegi toscani (Arezzo e Prato), Trento e Bolzano, Liguria-La Spezia, Ravenna e Rimini, e infine Bari e Ancona. Intere porzioni di Italia che Democratici e Progressisti hanno tutta l’intenzione di andare a prendersi.