I 75 anni di Muti: «La mia festa con Verdi e i giovani»

I 75 anni di Muti: «La mia festa con Verdi e i giovani»
di Flaminia Bussotti
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Giovedì 28 Luglio 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 30 Luglio, 18:11
RAVENNA - Riccardo Muti compie oggi 75 anni. Nessuno lo direbbe: non solo perché la sua vitalità, umanità e mostruosa agenda di impegni non lo lasciano lontanamente immaginare, ma anche perché nessuno vuole misurare un mito vivente col metro del tempo. Il maestro festeggia il compleanno con il grande amore della sua vita: Verdi. A Ravenna sta provando infatti Traviata a con i giovani ammessi alla seconda edizione della Italian Opera Academy, la sua ultima creatura alla quale tiene molto. Nell’intervista aleggia lontano il fantasma della Scala, un cui ritorno sta nelle stelle, e anche l’ipotesi di accettare l’invito a dirigere a Bayreuth, sul cui podio salì anche, primo italiano, Toscanini nel 1930. A 75 anni, Muti sembra possedere una quiete olimpica e aleggiare sopra le cose, leggero e soave come il suo amatissimo Mozart.

Oggi è un compleanno importante per lei: dove e come lo trascorrerà?
«Sono impegnato a Ravenna con l’Accademia e i giovani selezionati fra centinaia di domande. Per i direttori d’orchestra ne sono stati scelti 4 - un italiano, una lituana che studia a Berlino, un cinese e un polacco - ma anche gli altri potranno assistere come uditori alle prove. Per cui trascorrerò il mio compleanno nel migliore dei modi con i giovani e Verdi, e una collaboratrice d’eccezione: Renata Scotto, che si occupa dei cantanti ma non solo. Una grandissima cantante con cui ho lavorato molto: è appena uscito un cofanetto con la Scotto in Nabucco, Messa da Requiem e Traviata (Warner Classic The Verdi Collection, 11 opere)».

Ravenna, come mai un napoletano come lei ha trovato casa qui?
«Perché mia moglie Cristina, che conobbi al Conservatorio di Milano nel 1963, è di qui e quando ci sono venuto per la prima volta mi sono subito innamorato della città. Galeotto è il mare: ho trascorso la prima giovinezza a Molfetta, sul mare, il mare salato dell’Adriatico. Sono quindi un uomo dei due mari: il Tirreno essendo nato a Napoli, e l’Adriatico».
 
Nella sua geografia personale ci sono molte città importanti: che rapporto la lega ad esse?
«Una molto importante per ragioni varie è Firenze. È lì che ho avuto il mio debutto con Sviatoslav Richter al Maggio Musicale e dopo l’Orchestra mi offrì la posizione di direttore musicale. Quindi misi su famiglia e i miei tre figli sono nati lì. Firenze è stata la culla della mia carriera, senza sarebbe stato diverso. Al Maggio ho fatto anche cose importanti come Agnese di Hohenstaufen di Spontini, l’Africana di Meyerbeer, l’Orfeo di Gluck con Ronconi, il mio primo Mozart, Le Nozze di Figaro, ho lavorato con registi come Antoine Vitez, Cagli, Manzù. Poi certo ci sono Londra, Filadelfia, la Scala, Chicago: posso dire senza presunzione, come dato storico, che le offerte di direzione mi sono sempre venute dalle orchestre. Poi c’è un’orchestra che è una costante nella mia vita, i Wiener Philharmoniker, diretti per la prima volta nel 1971, all’inizio della carriera. Per cui posso dire che sono affezionato a tutte le orchestre e le loro città ma i Wiener sono una ‘compagna continua’».

A Milano torna in concerto a gennaio: tutti sognano che torni con un’opera in Italia.
«A Milano torno con la Cso. Per l’opera chissà, nessuno può predire il futuro. Per ora sono molto preso coi Wiener, i Berliner, il Bayerischer Rundfunk, l’Orchestre national de France. Se fare anche un’opera non mi sono deciso, anche se devo dire che Alexander Pereira (il sovrintendente ndr) sta facendo di tutto per convincermi e ha fatto anche una bellissima mostra sui miei anni alla Scala, tuttora aperta.

Intanto nel 2017 torna a Salisburgo con un’opera: Aida con la regia dell’iraniana Shirin Neshat e la Netrebko: una delle opere scenicamente più vituperate di Verdi, perché ha scelto proprio questa?
«Mi è stata offerta da Markus Hinterhäuser (sovrintendente dal 2017). Me lo ha chiesto perché l’ultima Aida al Festival risale agli anni di Karajan e da allora manca. È un titolo importante anche perché vi ho debuttato proprio a Vienna nel 1973 con un grande cast: Gwyneth Jones e Placido Domingo. Dopo questo incontro c’è stata un’altra edizione straordinaria, considerata l’Aida più bella, con Domingo, la Cossotto, Cappuccilli e Ghiaurov, e Martinucci che fa il Messaggero. Poi ho fatto Aida a Monaco, Londra e Firenze. Aida è il Verdi più raffinato, non queste Aide portate in giro come fossero un baraccone circense. La Netrebko sarà affiancata da Francesco Meli e Luca Salsi.

A proposito di Netrebko a Bayreuth si dice che potrebbe cantare in Lohengrin e sul Festival wagneriano Muti racconta che fu invitato una prima volta nel 1972 da Wolfgang Wagner.
«Venne a trovarmi a Firenze, mi offrì L’Olandese volante. Negli anni ’80 Wagner tornò, mi invitò nel suo palco a Bayreuth e voleva dirigessi Tannhäuser ma io facevo, e ho continuato a fare, Salisburgo e due cose insieme non si possono fare seriamente, ho scelto di rimanere ‘salisburghese’. Anche adesso l’amico Thielemann (Christian, Direttore Musicale di Bayreuth accanto alla sovrintendente Katharina Wagner, figlia di Wolfgang) ha insistito e insiste ancora perché vada. Sono io che dico no a Christian e a Katharina. Non ho preso una decisione in merito anche se devo dire che di Wagner alla Scala ne ho fatto: il Ring, Parsifal, L’Olandese volante».

Lei è famoso per rigore ed eleganza sul podio: che ne pensa dello stile dei suoi colleghi, e delle regie?
«È un argomento molto lontano dall’Accademia: in sintesi il mio stile viene dalla scuola di Votto, Toscanini, che a sua volta proveniva da Verdi, è una direzione essenziale. Quello che fanno gli altri non mi interessa. Constato solo una tendenza ad agitarsi troppo, senza contatto con la musica. Quanto alle regie, non sono contro le regie moderne, Ronconi ha fatto nove regie con me a partire dagli anni ’70, e poi Strehler, De Simone, Herzog, Vick. Sono solo contro le regie che pensano di chiarire e non capiscono l’aspetto drammaturgico, il rapporto parola-musica e si fanno la loro storia. L’insegnamento di Verdi è: “seguite più il poeta del musicista”».

Da artista sente il bisogno di un impegno sociale o politico?
«In Italia ha alzato spesso la voce… Lo sentiamo tutti, siamo tutti uomini, sia che uno sia presidente o contadino partecipa a un’azione politica. Io lo manifesto da 20 anni con i concerti delle Vie dell’Amicizia, un impegno sociale che attraverso la musica contribuisce ad arricchire, formare la comunità dei popoli. E ancora, sia in Italia che a Chicago, ho portato la musica nei carceri minorili per spiegarne ai giovani l’importanza. Come uomo partecipo, ma come musicista non sono interessato a fare comizi, meglio operare, non parlare».

Avverte con l’età il problema della posterità, dell’eredità e insegnamento per le generazioni future?
«Certo, per questo l’Accademia: lasciare ai giovani, se lo vogliono, ho un atteggiamento democratico, quel che ho imparato dai miei maestri Votto, Toscanini, Verdi: gli insegnamenti sul procedimento artistico ed etico.

Fra le sue opere preferite ci sono Così fa tutte di Mozart e Falstaff, l’ultima opera di Verdi, perché?
«Così è la rappresentazione della società, con gli amori, i tradimenti, gelosie, passioni: ci si vede quello che noi siamo senza puntare il dito moralista. Falstaff invece è il compimento di tutta l’arcata ininterrotta di Verdi. “fino all’Otello”, disse il compositore, "ho scritto per il pubblico, con Falstaff ho scritto per me”. È come un gioco sottile di riflessioni, nostalgia e sorriso malinconico sul mondo».
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