Dacia Maraini con "Donne della Repubblica" rievoca la svolta del voto alle donne

Dacia Maraini con "Donne della Repubblica" rievoca la svolta del voto alle donne
di Renato Minore
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Lunedì 30 Maggio 2016, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 19:20

Il referendum del due giugno settanta anni dopo. I momenti fondamentali che hanno portato alla fondazione delle nostre istituzioni democratiche saranno ricordati mercoledì all’Auditorium. Si parla (con Paolo Mieli, Emilio Gentile Paolo Di Paolo, Marisa Rodano) del contesto nazionale e internazionale dell’immediato dopoguerra, del passaggio dalla monarchia alla repubblica, del dibattito politico e storiografico che ne è seguito. L’evento è stato ideato da Editori Laterza con il sostegno della Presidenza del Consiglio. Si parla anche della “prima volta al voto” e della battaglia per l’emancipazione femminile: Dacia Maraini rievoca lo storico giorno in cui in cui ben 12.998.131 donne (un milione più degli uomini) deposero nell’urna la scheda. Con la scrittrice ha appena pubblicato (il Mulino) la prefazione a “Donne della Repubblica”, un volume collettivo in cui si dà voce e memoria a quattordici donne del secolo scorso che, nei campi più diversi hanno contribuito alla nascita della Repubblica. Su questi temi abbiamo conversato con la Maraini.

La prima volta al voto delle donne in Italia. Come ripensa a quell’evento?
«Fu una conquista cruciale, fondamentale, a lungo e invano attesa. Per ottenere quel diritto le donne si erano battute per decenni, senza mai essere ascoltate. Fu anche una scelta assai combattuta. Il fascismo diceva che bisognava dare il voto solo alle donne che avevano combattuto. Poi con l’istaurarsi del regime si chiuse anche questa possibilità. Il genere femminile era considerato bisognoso di un tutore, incapace di idee proprie, di intendere e volere, quasi minorenne. Quindi impossibilitate a poter scegliere chi governasse».

Un cammino non facile quello dei diritti politici delle donne, quello raggiunto nel 1946 non era un risultato scontato?
«E’ una cosa abbastanza inquietante. Il voto è fondamentale, è la partecipazione del cittadino alla vita pubblica. In un villaggio si può ipotizzare un governo diretto, in una società di massa ci vuole una delega nell’amministrazione, deleghe per le istituzioni. La delega deve venire dai cittadini. Il voto vuol dire scegliere chi ci rappresenta. E’ l’unico modo per il cittadino di dire il suo parere. Ma ci sono volute due guerre per stabilire che le donne potessero scegliere chi votare. Perfino una parte della sinistra era contraria. Sottolineava i limiti della loro coscienza politica, lo scarso livello culturale. Consideravano le donne ignoranti, vittime della chiesa, praticanti. Avrebbero portato il paese verso la conservazione».

La partecipazione femminile fu elevata ed entusiasta.
«L’entusiasmo dimostrava che le donne avevano capito benissimo che il diritto di cittadina in una democrazia, è una grande forma di partecipazione. E i partiti dovettero far fronte all’ondata che spazzava via decenni di silenzio e di rassegnazione. Le donne che donavano le loro fedi al regime, le donne che sfilavano davanti al Duce con nidiate di bambini, le donne che piangevano i loro figli e mariti nelle guerre fasciste: tutte queste donne non c’erano più».

Nel suo discorso alla Costituente Teresa Mattei, partigiana, la più giovane eletta, tenne a sottolineare che le donne non dovevano diventare “mascoline”, ma che la tutela dei diritti dell’una serviva anche all’altro. Dalla emancipazione delle donne ci avrebbe guadagnato tutta la società, uomini compresi.
«Per dare un valore reale al voto femminile, questo processo doveva essere accompagnato da un reale cambiamento sociale. L’emancipazione non riguarda solo una piccola parte della società, riguarda tutta la società, l’emancipazione di una maggioranza (le donne sono una piccola maggioranza) è fondamentale per tutta la società. Non si può escludere dal diritto di partecipazione una quasi maggioranza della società. E poi porta dentro forze nuove, idee nuove. E’ una crescita della società».

Ci sono state “donne coraggiose, intelligenti e intrepide” che hanno contribuito a quel risultato del voto e poi a scrivere la Costituzione, insistendo perché ricordasse e sancisse i diritti delle donne?
«Il nostro sembra un Paese che prova sollievo nel dimenticare il passato, quasi ci fosse da vergognarsi, soprattutto quando si tratta di stabilire punti di riferimento etici, socialmente riconoscibili, modello per future generazioni. La Repubblica italiana non è stata fatta solo da uomini ammirevoli: ma le donne che hanno contribuito con le loro azioni e pensieri alla nascita della Repubblica e al varo d’importanti riforme di parità sono spesse assenti nella memoria collettiva. Vorrei ricordare figure come Camilla Ravera, Nilde Jotti, Teresa Noce, Teresa Mattei, Maria Ombra, Alba De Cespedes, Fausta Cialente, Tina Anselmi…. Di loro si sa poco o nulla. Perciò è importante ricordarle».

Per questa ragione è nato il gruppo di “Controparola” che ora pubblica il volume collettivo “La donna” con la sua prefazione?
«Dal 1992 con “Controparola” cerchiamo di capire, studiare, raccontare la condizione della donna. Il nostro collettivo, una ventina di persone, si è già occupato della donne nel risorgimento, nella grande guerra, durante il fascismo. Andiamo nelle scuole, raccontiamo come è stato possibile raggiungere certi diritti – la fatica la lotta l’incertezza. Diritti che si possono perdere, nel clima di crisi di oggi. Bisogna difenderli. Ma oggi le più giovani non conoscono la storia che ha portato alla loro conquista. Pensano magari che siano acquisiti per sempre. Noi cerchiamo di essere utili, di portare consapevolezza e un po’ della nostra esperienza che non va cancellata».

Ricordo il suo libro di racconti “La ragazza di via Maqueda”. Tanti ritratti femminili in forma di racconto e qualcosa che li unisce nella diversità: il coraggio. Questa è la voce segreta ascoltata da tante donne: non rinunziare a se stesse, anche quando tutto sembra essere contro?
«Abbiamo moltissimi esempi, donne eccezionali che hanno infranto tabu. Nonostante difficoltà enormi come l’accesso allo studio, l’accesso alla professioni, hanno preso in mano la propria vita e sono andati avanti, nelle proprie azioni. Magari pagando di persona, ma l’hanno fatto. Atti di grande coraggio. Andrebbero più conosciuti. Bisogna essere orgogliose di queste donne. E dovremo dare più importanza a loro che non alle vittime. Quello che si vede o si ascolta troppo spesso è un insieme di cadaveri, donne violentate, strangolate, uccise».
 
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