Tempi duri per la corrida dopo la morte del matador Victor Barrio

Tempi duri per la corrida dopo la morte del matador Victor Barrio
di Paola Del Vecchio
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Domenica 24 Luglio 2016, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 09:23
MADRID - Dice il premio Nobel Mario Vargas Llosa che “la spagnolità”, intesa come essenza metafisica di ogni spagnolo, in primo luogo non esiste e, in secondo, se esistesse, andrebbe in frantumi rispetto alle corride dei tori. Che vivono in Spagna la loro stagione più critica, dopo la morte nell’arena di Teruel, lo scorso 9 luglio, del torero Victor Barrio, il primo matador ucciso nella “faena” negli ultimi trent’anni. Sangue e arena, non c’è corrida senza morte, ma di solito questa tocca al toro. Bisogna risalire al 1984, quando una cornata trafisse a morte Francisco Rivera Perez, il celebre Paquirri, nell’arena di Cordoba, o all’anno successivo, quando El Yiyo morì toreando a soli 21 anni, per ritrovare i precedenti della tragedia.

Victor Barrio, a 29 anni, è stato prima ucciso da Lorenzo, un bestione di 526 chili, e poi linciato sui social network, inondati di messaggi contro il torero e la sua famiglia, che hanno scatenato le reazioni indignate di matador come El Juli e degli amanti della tauromachia, per i quali Victor Barrio è un eroe. La guerra virtuale ha infiammato il dibattito sulla libertà di espressione, finito in tribunale, dopo la denuncia dei twitt insultanti fatta dalla fondazione Toro di Lidia e l’azione legale avviata da Raquel Sanz, la vedova del matador di Segovia, decisa a difenderne la memoria.
 
«E’ stato Victor a chiedermelo. Mi fece promettere che, se gli fosse accaduto qualcosa e io avessi visto che nelle reti sociali si dicevano barbarità sul suo conto, avrei dato mandato all’avvocato per fare screenshot e denunciarle», ha assicurato la giornalista in un’intervista alla Cadena Cope.

LE POLEMICHE
A differenza di 30 anni fa, oggi «Le arene sono circondate da un costante mormorio. Un onnivoro stato d’opinione che quando vede l’occasione fa un boccone degli usi e costumi fino a inghiottirli», annota lo scrittore Jesus Ruiz Mantilla su El Pais. Per capire il livello di parossismo delle polemiche, basti pensare che il professore di Valencia, autore dei primi messaggi vessatori, terrorizzato dalle minacce ricevute è corso alla polizia a denunciare di essere stato vittima di un hackeraggio del suo account di Facebook e smentire la paternità.

Mentre la Nestlé ha licenziato lo youtuber JPellirojo (1 milione di sottoscrittori, immagine della campagna Maxibon) per essersi rallegrato della morte del matador, sebbene senza mai citarlo, scatenando una campagna di boicottaggio contro la multinazionale. «Chiaro che non pongo la vita di un toro e di un torero allo stesso livello. Il toro non vuole fare del male a nessuno e ha, pertanto, più valore», aveva twittato JPellirojo.

E tanto è bastato perché il suo commento, virale, scatenasse in risposta un’alluvione all’hashtag #boicotnestlé.
Dal divieto delle corride in Catalogna, cinque anni fa, preceduto da quello imposto alle Baleari, i tori vivono le ore più buie, messi al bando a La Coruña, Palma di Maiorca, Alicante, dichiaratesi città anti-taurine. E il contagio si estende ad altre regioni che studiano l’interdizione, nonostante il governo conservatore del Pp le abbia protette, dichiarandole “bene di interesse culturale”, col varo di un piano strategico nazionale di protezione e sviluppo della tauromachia.

Nella capitale e nei grandi municipi guidati dalle nuove amministrazioni di sinistra di Podemos o dai socialisti, sono stati chiusi i rubinetti delle concessioni dei fondi, tanto che per la prima volta a Valencia i toreri sono scesi in piazza a manifestare in difesa della Fiesta. E alla vigilia delle ultime corse davanti ai tori di San Fermin, rese celebri da Hemingway, centinaia di attivisti di tutto il mondo, riuniti nella piattaforma “La cultura non è tortura”, nudi e coperti di sangue hanno chiesto ai turisti di non appoggiare con la loro presenza gli “encierros” né le corride, invocando la revoca del finanziamento di 150 milioni di euro assegnato dalla Ue alle feste taurine.

IL DECLINO
Nei numeri, il segno di un declino inarrestabile. Se un lustro fa il 60% degli spagnoli si proclamava indifferente alle corride e il restante 40% le difendeva, tre anni fa i fautori sono scesi al 30%, per sprofondare al 18% nel 2015, secondo il sondaggio on line realizzato da World Animal Protection. Un rifiuto quasi totale – l’84% - fra i giovani tra i 16 e i 24 anni, che assicurano di sentirsi “poco o nulla” orgogliosi di vivere in un paese dove la tauromachia è una tradizione culturale.

Per 3 spagnoli su 4 - 73% - non devono essere destinati fondi pubblici agli spettacoli taurini. Che, tuttavia, hanno registrato una minima ripresa, con un incremento del 5% di spettatori nel 2014 e un business stimato in 2,29 miliardi. Da sempre appannaggio della destra, la difesa della corrida è spesso associata all’immagine della Spagna nera franchista e usata come arma di contesa politica. A differenza del sud della Francia, che non ha un passato di cui vergognarsi e dove le corride sono in ascesa. 
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