La ricostruzione: dalla Patagonia con amore. Malgrado tutto

La ricostruzione: dalla Patagonia con amore. Malgrado tutto
di Fabio Ferzetti
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Sabato 19 Luglio 2014, 21:20 - Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 13:04
La Patagonia come stato d’animo, il gelo come condizione interiore. La durezza di quella terra desolata come traduzione sensibile dell’esilio in cui vive, forse deliberatamente, il protagonista. Nella prima parte de La ricostruzione, il film argentino scoperto alle Giornate degli Autori l’anno scorso, tutto è aperto, carico di mistero. Che cosa consuma Eduardo, perché vive solo in una baracca dormendo su un lettuccio traballante e mangiando con le mani, da dove viene quella durezza, l’ostinata indifferenza con cui guarda al resto del mondo mentre esegue coscienziosamente il suo lavoro di tecnico petrolifero?



Come Locke Torna in mente il furioso Locke, a cui formalmente La ricostruzione non somiglia affatto, perché anche qui è di scena un rovello morale, una scelta estrema e forse autopunitiva. E anche Locke, curiosa coincidenza, era un capocantiere, segnato dallo scrupolo e dalla precisione. Le analogie finiscono qui, La ricostruzione non è così radicale nelle forme né così geniale negli sviluppi. Ma il sentimento che muove i due protagonisti ha qualcosa di simile.



Silenzi Anche qui, è evidente, ci sono colpe sepolte da riscattare con sofferenza e isolamento. Anche se per scoprirlo dovremo seguire Eduardo nella città di Ushuaia, sempre in Patagonia, accettare i silenzi e i modi bruschi con cui film e personaggio ci portano da un vecchio amico che sembra il suo opposto. Un omone barbuto, cordiale, comprensivo, anche se non sempre di buonumore, con una bella moglie e due figlie adolescenti e litigiose. Che cosa hanno in comune Mario e Eduardo, perché Mario dopo tanti anni ha bisogno di lui, fino a dove potrà arrivare Eduardo e come farà, così chiuso e inselvatichito, a sostituirsi all’amico quando le circostanze glielo imporranno?



Invisibile Non sempre imprevedibile negli sviluppi, ma teso, sensibile, cucito addosso a un pugno di attori perfetti, La ricostruzione pedina l’invisibile catturando in una fitta ragnatela di gesti e silenzi i sentimenti, i timori, gli smottamenti interiori dei personaggi, con asciutto rigore e momenti bellissimi (il “selfie” in ospedale, la scena della doccia). Solo in versione sottotitolata, una volta tanto. Evviva.
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