Alabama Monroe, una grande storia d'amore sulle note struggenti del bluegrass

Veerle Baetens e Johan Heldenbergh in Alabama Monroe di Felix Van Groeningen
di Fabio Ferzetti
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Martedì 6 Maggio 2014, 20:02 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 08:24
​Tutto l’amore del mondo e tutto il dolore che si pu provare non in una, ma in molte vite. Tutta la passione, la bellezza, la tenerezza che può passare quasi fisicamente nella musica (nella sua esecuzione, più che nel suo semplice ascolto). E poi tutto lo strazio, lo sgomento, il senso di perdita irreparabile che nessuna musica potrà mai lenire. Anche se solo la musica, forse, può dare una forma (un’eco) al dolore più inesprimibile.



MELODRAMMA

Se ogni melodramma si basa sulla coincidenza degli opposti, Alabama Monroe è un mélo perfetto e perfino diabolico per l’abilità con cui tende fino allo spasimo la corda dell’emozione premendo, appunto, su due pedali: quello del racconto e quello della musica, che del racconto peraltro è parte integrante. Anche se non si tratta di musica “alta” ma di bluegrass, uno dei più popolari fra i generi musicali americani, spesso confuso col country ma più composito nelle origini, struggente nell’effetto. E rigorosamente acustico.



TATUAGGI

Benché siano belgi dalla testa ai piedi, i due protagonisti di Alabama Monroe (che molti davano per favorito all’Oscar contro La grande bellezza) fanno infatti parte di una band bluegrass. Lui suona, lei canta, e le loro esecuzioni sono il prolungamento naturale di quell’amore un po’ folle, nato per caso - come tutti gli amori - nella bottega in cui lei fa tatuaggi. Poi c’è la deliziosa Maybelle, che cresce libera tra polli e cavalli, e sembra pure lei il coronamento di quell’amore travolgente.



MALATTIA

Anche se quando Alabama Monroe inizia Maybelle, sette anni, ha già il cancro. E mentre Didier e Elise fanno l’impossibile per starle accanto “rubando” ogni possibile occasione di felicità perfino in ospedale, mentre l’intera band (tutti omaccioni a parte Elise) si mobilità per trasformare la guerra contro la malattia in un gioco strampalato e imprevedibile, questo film nato da una commedia scritta dallo stesso protagonista, Johan Heldenbergh, corre avanti e indietro nel tempo smontando e rimontando brandelli della storia fino a formare un quadro completo della vicenda. In cui poco a poco entrano l’amore e la musica, la passione carnale e la crudeltà della malattia, la meraviglia per quell’amore fiorito in età ormai matura (almeno per lui) e le differenze ineliminabili di cultura e mentalità.



Senza dimenticare la gratitudine per la bellezza di Elise, con il suo corpo istoriato di immagini come un codice miniato, e il rancore che alla lunga divide la coppia, alimentato dalla malattia e dalla disperazione.



GENEROSITÀ

Il tutto senza mai perdere di vista la dimensione collettiva, perché questa storia d’amore e morte incisa sulla pelle dei protagonisti è anche la storia di un gruppo - la band - che integra, accoglie e rielabora le vicissitudini di Elise e Didier, non solo in chiave musicale. Con qualche effetto di montaggio di troppo, nell’ultima parte, per non insospettire chi teme gli abusi del mélo. Ma anche con un’inventiva, una generosità, una capacità di sollecitare sentimenti tutt’altro che banali, davvero eccezionali.



ANIMALI

Anche perché il film riesce a restare sempre accanto ai personaggi, senza mai giudicarli, nemmeno nei momenti più estremi. Come se fossero in qualche modo animali (e di animali, puledri, corvi, bufali, tigri, è punteggiato il loro percorso).

Mentre i due protagonisti, i memorabili Veerle Baetens e Johan Heldenbergh, ci ricordano come al cinema la presenza fisica, il semplice “esserci” dei personaggi, vinca sempre sul linguaggio (sullo stile). E anche i più folli virtuosismi di regia si sciolgano come neve al sole di fronte alla semplice verità di un corpo, un gesto o uno sguardo.



RIVELAZIONE

Insomma un’autentica rivelazione, diretta da un regista belga 37enne di lingua fiamminga, che riesce nel piccolo miracolo di costruire un mondo completamente chiuso e autosufficiente intorno ai suoi due incredibili protagonisti. Un mondo in cui la musica bluegrass e il sentimento della vita che la contraddistingue costituiscono l’orizzonte espressivo e insieme esistenziale del film.



Ricordandoci una volta di più che il cinema trova l’universale proprio scavando nelle culture più locali, nelle comunità più particolari. Specialmente oggi, che la tendenza a chiudersi in gruppi definiti da scelte molto precise, è ormai un fenomeno che va ben oltre le mode per investire in profondità il tessuto della nostra società.
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