Dall’Eni alle Poste, rivoluzione Renzi: record di donne nelle spa di Stato

Marcegaglia Grieco Todini
di Andrea Bassi
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Martedì 15 Aprile 2014, 08:32 - Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 22:04

La rottamazione di Matteo Renzi tocca il cuore del sistema delle partecipazioni di Stato. Dopo quasi un decennio di potere incontrastato, manager che erano praticamente identificati con le loro aziende devono lasciare il passo. Finisce l’era di Paolo Scaroni in Eni, tre mandati consecutivi e altri due in precedenza nell’Enel. Esce di scena Fulvio Conti, anche per lui tre mandati come amministratore delegato e direttore generale del gruppo elettrico. Via anche Massimo Sarmi, numero uno da ben dodici anni delle Poste. In sella sale una nuova generazione di manager, spesso a cavallo tra la conservazione e l’innovazione. In Eni, per esempio, la tolda di comando va nelle mani di Claudio Descalzi, già a capo del settore esplorazione del Cane a sei zampe. Un manager che conosce l’Eni da dentro come le sue tasche. Renzi ha voluto per tutte le caselle un’alternanza uomo-donna, oltre a una componente rosa nei cda (11 in tutto le donne). Così al vertice del colosso petrolifero è stata scelta Emma Marcegaglia, imprenditrice dell’omonimo gruppo di famiglia ed ex presidente di Confindustria. Una scelta che, c’è da scommetterci, creerà polemiche. In Enel il cambio di guardia è più profondo. Il posto di Fulvio Conti viene preso da Francesco Starace, attualmente numero uno di Enel Green Power, la controllata delle energie rinnovabili del gruppo elettrico. Ma il fatto che Starace sia un manager interno non deve trarre in inganno. I dissapori con l’ex a.d. sono noti, dunque l’arrivo di Starace è considerato dagli osservatori una nomina di discontinuità.

LA MEDIAZIONE

Sempre rispettando l’alternanza di genere imposta da Renzi, la presidenza di Enel è andata a Patrizia Grieco, già amministratore delegato di Italtel e nel consiglio di amministrazione di molte imprese.

Poi c’è Finmeccanica. Il gruppo della Difesa è l’unico dove Renzi non è riuscito a nominare una donna in virtù del suo postulato sulla «parità di genere». La visita al Quirinale di ieri mattina, con il tavolo sulle nomine in corso, sarebbe dipesa proprio dal nodo Finmeccanica. Renzi avrebbe voluto che presidente fosse nominata Marta Dassù, ex vice ministro degli Esteri con il governo Monti. Napolitano avrebbe chiesto la conferma di Gianni De Gennaro, ex capo dei servizi segreti e della polizia. Alla fine, dunque, al comando di Finmeccanica, nonostante l’attuale ministro della Difesa sia una donna, Roberta Pinotti, saranno due uomini, mentre la Dassù dovrà accontentarsi di un posto in cda. Nel valzer di nomine salta anche l’amministratore delegato Alessandro Pansa, che era da circa un anno alla guida del gruppo della Difesa. Al suo posto arriva Mauro Moretti, il numero uno delle Fs, che pure aveva avuto un vivace scambio con Renzi sui compensi degli amministratori. Il passaggio di Moretti dalle Fs a Finmeccanica è letto anche come un estremo tentativo di salvare il settore trasporti di Ansaldo Breda dalla vendita. La scelta, ovviamente, apre un vuoto al vertice delle Ferrovie, dove potrebbe essere dirottato Domenico Arcuri. Poi ci sono le Poste. Il nuovo centro destra, all’ultimo minuto, è riuscito ad ottenere la nomina a presidente di Luisa Todini, ex europarlamentare di Forza Italia e nel cda della Rai. Al vertice del gruppo, invece, arriva il Mister Agenda Digitale di Enrico Letta, Francesco Caio, già a capo di Cable&Wireless e di Avio. Monica Mondardini, amministratore delegato del Gruppo Cir-Espresso, che pure Renzi avrebbe voluto alla guida di una delle aziende pubbliche, si sarebbe tirata indietro. Il governo poi, ha deciso di rimandare la scelta dei vertici di Terna, in quanto l’assemblea per le nomine non è imminente e, almeno formalmente, a presentare la lista dovrà essere la Cassa Depositi e Prestiti, azionista della società della rete. In corsa resta il numero uno di Gdf-Suez, Aldo Chiarini. Renzi, poi, ha imposto ai presidenti un tetto agli emolumenti di 238 mila euro, in linea con il suo piano di taglio alle retribuzioni nella Pa. Ai capi azienda, invece, ha chiesto moderazione salariale.