Minacce ed estorsioni nel nome di Topo Beach: «Quel chiosco è nostro, siamo qui da 40 anni»

Minacce ed estorsioni nel nome di Topo Beach: «Quel chiosco è nostro, siamo qui da 40 anni»
di Vittorio Buongiorno e Marco Cusumano
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 31 Gennaio 2024, 12:07

L'INDAGINE

Un copione già visto con i Di Silvio e i Ciarelli, ma stavolta i nomi usati per fare paura erano quelli di Zof e Travali. L'obiettivo era principalmente uno: difendere il "Topo Beach", il primo chiosco del lido di Latina, da anni gestito dalla famiglia Zof. Un chiosco e un pezzo di mare a un passo da Capoportiere, considerati "proprietà privata". «Il Topo non si tocca... era di mio nonno e di mio padre, sarà mio e di mio fratello» scriveva Alessandro Zof su Facebook. Parole accompagnate da minacce più o meno dirette che arrivavano a chi osava mettere il naso negli affari della famiglia Zof, anche solo partecipando legittimamente a un bando pubblico per la gestione dei chioschi. Minacce che non restavano solo nel mondo virtuale dei social, ma che si trasformavano in affronti nella vita reale, tanto da spingere i vincitori del bando per la gestione del chiosco a rinunciare "per motivi personali".
Dopo una lunga indagine gli uomini della Squadra Mobile della Questura di Latina, diretti dal vicequestore Mattia Falso, hanno eseguito ieri mattina otto misure cautelari con le pesanti accuse di turbata libertà degli incanti ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori.

LA PRIMA DENUNCIA

Le indagini, coordinate dalla Dda di Roma, sono iniziate dopo una segnalazione effettuata dal Comune di Latina all'inizio del 2021. Già nel 2017 il sindaco Damiano Coletta aveva espresso i suoi timori in Questura. Nel febbraio del 2021 rincarò la dose. Qualcuno all'epoca, evidentemente distratto da altre vicende, parlò di psicosi. Oggi si comprende invece che i timori erano fondati. D'altra parte la strana rinuncia alla gestione del primo chiosco da parte dei legittimi aggiudicatari lasciava pochi dubbi. Quella rinuncia aveva il sapore amaro di una resa per paura di ritorsioni, un epilogo frutto di pressioni che arrivavano, si pensò, dalla criminalità. In particolare le indagini si sono focalizzate su una famiglia che apparteneva al clan Travali e che, sostiene l'accusa, all'epoca non esitò a usare il nome e il potere per riprendersi un chiosco che consentiva profitti enormi.

GLI ARRESTI

Adesso, tre anni dopo, sono scattati gli arresti. Disposti i domiciliari con l'accusa di turbata libertà degli incanti aggravata dal metodo mafioso per padre e figlio. Maurizio Zof, 69 anni, rintracciato nella sua casa di Latina, e Alessandro Zof, 39 anni (che attualmente si trova in carcere, già coinvolto nelle inchieste Don't Touch, Reset e arrestato per gli spari al Circeo nel 2016). Ai domiciliari anche Pasquale Scalise (gestore di fatto di una società di Zof) che è stato rintracciato Pescara. Nel corso delle indagini sono emersi anche episodi di spaccio e per questo è finito in carcere Ahmed Jeguirim, 40 anni, mentre è ricercato Christian Ziroli, 29 anni. Ad altre tre persone infine è stato notificato l'obbligo di firma, Fabio Zof, 35 anni (l'altro figlio di Maurizio), Corrado Giuliani, 49 anni, e Franco Di Stefano, 36 anni.

LE MINACCE

Tanti gli episodi contestati al gruppo, non solo le minacce ai vincitori della gara per il primo chiosco, ma anche alcune "visite" ad altri operatori del Lido con l'obiettivo di intimidire.
In un'occasione Alessandro e Fabio Zof andarono in un altro chiosco consumando due amari e dicendo a un dipendente «riferisci al tuo capo che sono uscito dal carcere e non può fare più come cazzo gli pare... qui comandiamo noi». Stesso copione in un altro chiosco poco distante: consumazioni non pagate, parole minacciose e atteggiamento di chi vuole lanciare un messaggio di paura chiaro e diretto.
Furono mesi di grande tensione. In tanti a Latina ricordano ancora le riunioni pubbliche per l'aggiudicazione dei chioschi, con quelle frasi velenose sul filo delle minacce pronunciate davanti a decine di testimoni nei confronti dei futuri gestori del primo chiosco che si erano aggiudicati la gara. «Non dovevate osare, noi siamo qui da 40 anni» gli dissero a brutto muso. Non solo. Sui social i figli di Zof avevano lanciato una campagna con uno slogan perentorio: «Giù le mani da Topo Beach».
Oggi, per gli inquirenti, tutti questi comportamenti sono qualificabili come atti intimidatori per incidere sull'aggiudicazione del bando e sulla libera attività esercitata dai gestori. D'altra parte come andò a finire lo ricordano tutti. I vincitori si ritirarono e il Comune fu costretto a togliere il primo chiosco dal quel bando, per poi affidarlo nell'ambito di un progetto di cultura della legalità destinato ai giovani ad una cooperativa di ragazzi che tutt'ora lo gestisce. La struttura è stata poi colpita da un incendio devastante l'estate scorsa, episodio ancora non chiarito.
La Procura contesta anche alcuni episodi di spaccio e di successive minacce per ottenere il pagamento di crediti per la droga acquistata.

Un acquirente, secondo la ricostruzione, fu picchiato nella sua abitazione davanti alla compagna, anche lei colpita con un pugno, e infine gli aggressori distrussero la bicicletta del figlio piccolo prima di andare via.

Vittorio Buongiorno
Marco Cusumano
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