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La ragazza scomparve da Brembate di Sopra (Bergamo) il 26 novembre del 2010 e trovata uccisa esattamente tre mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola. Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini sviluppano nel ricorso 23 motivi per cercare di dimostrare l’estraneità di Bossetti al delitto e vanno all’attacco della cosiddetta “prova regina”: il Dna di Bossetti trovato sul corpo della vittima. Contestano, soprattutto, il fatto che sia stato estratto senza rispettare le cosiddette best pratices previste dalla comunità scientifica che, di recente, sono state ufficialmente approvate dalla stessa.
L’esame, pertanto, è da ripetere. Lo stesso ragionamento, per la difesa, è applicabile a numerosi altri indizi a corollario del Dna: la compatibilità delle fibre dei sedili del furgone di Bossetti con quelle trovate sul corpo della ragazza, le immagini riprese dalle telecamere del mezzo che i legali sostengono non fosse del muratore. La difesa punta, insomma, su quelle ordinanze che esclusero la richiesta di numerose perizie, lamentando la loro carenza di motivazione. In questo modo, auspicano gli avvocati, sarebbe la Cassazione a disporre un nuovo processo, invitando i giudici a disporre quelle perizie, o ad annullare la sentenza senza rinvio. Bossetti non sarà in aula in quanto le parti private, in Cassazione, possono intervenire solo tramite i propri difensori. Non è escluso, invece, che partecipi tra il pubblico qualche suo parente che gli è stato vicino nel suo percorso processuale. Il padre del muratore, Giovanni, e la madre, Ester Arzuffi, sono morti nel dicembre del 2015 e nel maggio scorso.
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