Pensioni, stop a nuovi scivoli: si allontana l'uscita con 41 anni di contributi. Niente fondi nel Def per ulteriori anticipazioni

La spesa ha superato i 337 miliardi. Pesano inflazione e calo demografico

Pensioni, stop a nuovi scivoli: si allontana l'uscita con 41 anni di contributi. Niente fondi nel Def per ulteriori anticipazioni
di Andrea Bassi
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Venerdì 12 Aprile 2024, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 13:45

Nel documento di economia e finanza appena approvato dal governo di indicazioni sulla prossima manovra non ce ne sono molte, ma una certezza, o quasi, c’è: sarà difficile che il prossimo anno possa esserci qualche nuova forma di pensionamento anticipato. La spesa sostenuta dai conti pubblici per le pensioni è troppo alta e comunque destinata a crescere ancora. Quest’anno toccherà i 337,4 miliardi, l’anno prossimo salirà a 345 miliardi, nel 2027 balzerà a 368 miliardi. Una corsa che non è destinata a fermarsi nemmeno negli anni successivi. Insomma, proposte come l’introduzione di un pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere all’età, anche se addolcite nei costi per lo Stato (ma non per i pensionati) da un ricalcolo contributivo degli assegni, sono destinate a restare nel cassetto. Ma cosa sta accadendo al sistema pensionistico? Pesano diversi fattori. Il primo è strutturale: l’andamento demografico. Il numero dei pensionati gradualmente sta aumentando e quello dei lavoratori destinati a “mantenerli” con il versamento dei contributi è destinato invece a ridursi. Non perché aumenta la disoccupazione, ma piuttosto perché ci sono sempre meno persone in età lavorativa.

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La seconda ragione è più contingente: il ritorno dell’inflazione.

Per quasi un decennio gli importi degli assegni pensionistici sono stati praticamente fermi perché l’inflazione non esisteva. Poi è arrivata, con la fine della pandemia, la fiammata che tutti conoscono. Nonostante il governo sia subito intervenuto tagliando le rivalutazioni agli assegni superiori a quattro volte il minimo, la spesa è salita del 7,4 per cento nel 2023 e del 5,8 per cento quest’anno. C’è poi quello che, probabilmente, è considerato il punto più dolente: gli scivoli che hanno permesso di uscire dal lavoro in anticipo rispetto ai 67 anni previsti dalla riforma Fornero. Il dito è puntato soprattutto verso Quota 100, la misura introdotta nel 2019 dal governo giallo-verde (il primo guidato da Giuseppe Conte e sostenuto dal Movimento Cinque Stelle e dalla Lega) e che ha permesso di lasciare il lavoro con 62 anni di età e 38 di contributi. Cosa è accaduto? Che la dinamica di aumento della spesa è praticamente raddoppiata nel quinquennio 2019-2023 rispetto ai nove anni precedenti, quelli che vanno dal 2010 fino al 2019.

C’è un altro punto del Documento di economia e finanza approvato dal governo che lascia intendere che difficilmente potranno vedere la luce altre politiche di anticipo pensionistico. Il nuovo e unico parametro rilevante per valutare i conti pubblici che sarà preso in considerazione dall’Europa, è l’andamento della spesa primaria netta. Sarà questa a determinare l’apertura o meno, di una procedura di infrazione in futuro. E la spesa per le prestazioni sociali è quella di gran lunga superiore. All’interno di questa la parte preponderante è proprio quella pensionistica.

IL PASSAGGIO

Cosa rimarrà dunque, degli scivoli introdotti lo scorso anno e in scadenza a fine dicembre? L’attuale Quota 103 non è francamente molto appetibile. Permette sì di lasciare il lavoro a 62 anni con 41 di contributi, ma accettando un ricalcolo contributivo della pensione e dovendo attendere 7 mesi nel privato e 9 mesi nel pubblico, prima di poter ricevere l’assegno. Anche Opzione Donna ha ottenuto una decisa stretta. L’età è salita a 61 anni, che possono essere ridotti solo alle donne con figli. E anche in questo caso è previsto il taglio della pensione attraverso il ricalcolo contributivo.

Semmai è più probabile che nella prossima manovra arrivi una qualche nuova stretta sulle pensioni per provare a contenere la spesa. Già l’anno scorso il governo ha introdotto una serie di tagli, alcuni dei quali anche con un impatto rilevante. Come per esempio le misure sulle pensioni dei dipendenti pubblici di alcune gestioni, quelle dei medici, dei dipendenti degli enti locali e degli ufficiali giudiziari, che si sono viste annullare una serie di meccanismi di calcolo degli assegni privilegiati rispetto agli altri lavoratori (con un parziale dietrofront poi per medici e infermieri). Il governo ha anche reintrodotto dal prossimo anno l’adeguamento automatico dell’età di pensionamento alla speranza di vita. E ha tagliato le rivalutazioni per le pensioni più alte. Anche nel prossimo futuro è probabile che si prosegua su questa strada. L’ultimo indizio, che costituisce una prova, è l’insabbiamento del tavolo con i sindacati sulla riforma in attesa da mesi di una convocazione.

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