Reati contro la Pa, arriva il giro di vite:
saranno puniti come quelli di mafia

Reati contro la Pa, arriva il giro di vite: saranno puniti come quelli di mafia
di Andrea Bassi
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Domenica 29 Novembre 2015, 10:26
Dopo l'approvazione qualche giorno fa alla Camera a larghissima maggioranza, adesso che il provvedimento è approdato al Senato, all'interno del governo e della stessa maggioranza, inizierebbe a serpeggiare qualche dubbio. Il passo fatto, insomma, sarebbe stato più lungo della gamba. O per dirla in altro modo, si sarebbe stati più realisti del Re. Del resto l'unica cosa che non è cambiata è il nome.

Il codice antimafia continuerà a chiamarsi così. Eppure tutto l'armamentario, da fine mondo, come direbbe il dottor Stranamore, che era stato pensato per colpire le cosche, non appena la proposta di legge sarà licenziata anche dal Senato, potrà essere utilizzato per colpire chi è anche solo indiziato di aver commesso un reato contro la pubblica amministrazione.

Le maglie del codice antimafia, insomma, si allargano. E a dismisura. Le misure di prevenzione personale previste per i mafiosi, come l'obbligo di soggiorno o il divieto di dimora, potranno applicarsi anche a sospetti corruttori, concussori o anche a chi si ipotizza abbia commesso un peculato. Ma il nodo centrale è quello contenuto nell'articolo 10 del progetto di legge, dove viene riscritta la normativa sull'amministrazione giudiziaria delle imprese. Mettere le manette ad un'azienda è una misura estrema, perché in gioco ci sono non solo libertà costituzionalmente garantite, come appunto quella dell'iniziativa economica, ma anche gli interessi di lavoratori e fornitori, che nulla hanno di solito a che fare con le eventuali attività illecite degli imprenditori. Per questo la misura del sequestro preventivo era stata fino ad oggi limitata al reato considerato più grave, quello di associazione mafiosa o favoreggiamento delle cosche.

COSA CAMBIA
Se le nuove norme saranno confermate al Senato, i magistrati potranno mettere sotto sequestro anche le aziende di soggetti sospettati di aver commesso reati contro la pubblica amministrazione: dal peculato semplice e mediante profitto dell'errore altrui, alla malversazione a danno dello Stato, passando per l'indebita percezione di erogazioni statali o comunitarie, fino alla concussione, alla corruzione propria e impropria, alla corruzione in atti giudiziari, all'induzione indebita a dare o promettere utilità, alla corruzione di incaricato di pubblico servizio, al peculato, alla concussione, e così via.

Il semplice sospetto di aver commesso uno di questi reati permetterà al giudice di sequestrare l'azienda e nominare uno o più amministratori giudiziari che la gestiranno sotto le direttive del magistrato stesso. Una misura che rischia di accrescere il peso delle procure sull'economia. Oggi, secondo le stime più accreditate, solo con i sequestri preventivi per mafia il valore dei beni complessivamente gestiti sotto la supervisione dei magistrati è di circa 30 miliardi di euro. Il solo valore delle imprese sarebbe superiore ai quattro miliardi di euro. Fino ad oggi, l'arrivo dei manager nominati dai giudici non ha portato grandi risultati. Secondo le rilevazioni di Bankitalia solo un'azienda su dieci finita sotto sequestro sopravvive all'amministrazione giudiziaria.

La nomina da parte dei giudici di questi "manager", è del tutto discrezionale, e ha portato a delle storture, come nel caso del giudice Saguto a Palarmo. Il testo approvato alla Camera prova a mettere una pezza alla deriva emersa dall'inchiesta siciliana. Nel provvedimento viene stabilito che i magistrati non potranno assegnare incarichi ai parenti fino al quarto grado e nemmeno ai conviventi e ai "commensali" abituali. Ogni amministratore potrà avere al massimo tre incarichi. E tra i manager chiamati a gestire le aziende, dovranno essere scelte persone con esperienza nella guida delle imprese, pescando anche tra i dipendenti di Invitalia, una società pubblica.

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