Ghizzoni: "Come sarà la svolta digitale di Unicredit"

Federico Ghizzoni
di Rosario Dimito
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Mercoledì 23 Dicembre 2015, 11:08
Sul volto di Federico Ghizzoni la tensione cumulata durante i giorni di fuoco del caso-Bulgarella appare più sfumata; anche le divergenze nel top management con le dimissioni di Roberto Nicastro e Alessandro Decio e, quella rientrata, di Paolo Fiorentino, sembrano storia lontana. Acqua passata. Da gennaio l’amministratore delegato di Unicredit, che si appresta a trascorrere il Natale in montagna e volerà per una breve vacanza in paesi lontani, dovrà dare impulso al nuovo piano industriale per soddisfare il mercato e la Bce, che ancora non ha spento il faro acceso sul capitale.
Evita di entrare nel merito delle polemiche di questi giorni sul salvataggio delle quattro banche per non doversi schierare nel conflitto istituzionale con il governo. Dal ventottesimo piano di Unicredit Towers si staglia una Milano sfumata nella nebbia, Ghizzoni getta uno sguardo e poi sorride fiducioso. "Le nostre previsioni dicono che il Pil 2016 dell'Eurozona crescerà dell'1,9%".

Dove vede l’asticella per l’Italia?
"Dovremmo registrare una crescita dell’1,4%. Ma per quanto ci riguarda la nostra meta sarà la realizzazione del piano industriale".
Già, il piano. Il mercato è sembrato scettico perché pensa che pur spingendo sul digitale, non ci sia visibilità sugli investimenti It. Come replica?
"La reazione del mercato non mi ha sorpreso, ma gli investitori di lungo periodo hanno capito bene che oltre ai tagli robusti, il piano si propone di portare Unicredit su un percorso di cambiamenti strutturali e di trasformazione del vecchio modo di fare banca".
Da quel che si capisce però il cuore del piano non sta in questo.
"Vero, sta nella sua spinta naturale verso lo sviluppo e la crescita. Contiamo di sostenere l’economia dei paesi in cui siamo presenti con 180 miliardi di nuovo credito. E puntiamo a un utile netto di 5,3 miliardi nel 2018 con l’obiettivo di costituire una solida base patrimoniale elevando la soglia del nostro Cet1 dal 10,53% di settembre 2015 al 12,6% di fine 2018".
Non pensa di voler osare troppo? Talvolta la dimensione internazionale non aiuta.
"La nostra dimensione è naturalmente internazionale. E’ il nostro dna, tanto che vogliamo sviluppare il network estero rafforzandoci ulteriormente in Medio Oriente, Asia e America Latina".
Come risolverete le criticità in Russia e Ucraina?
"Avere una diversificazione geografica può comportare dei problemi. Le maggiori difficoltà le sta vivendo l’Ucraina che negli ultimi due anni ha subito gli effetti di una grave recessione economica. Però in quest’area abbiamo sempre continuato a gestire la situazione e il business. Ora stiamo conducendo una trattativa in esclusiva con Alfa Group e contiamo di chiudere la vendita all’inizio del prossimo anno. In Russia i consumatori hanno risentito del calo del prezzo del petrolio e delle sanzioni economiche europee. Ma non abbiamo alcuna intenzione di uscire, anzi il nostro business continua a crescere".
In Italia i problemi non mancano: l’ex dg Nicastro ha lasciato anche perché avrebbe voluto un cambio manageriale, pensate di aver fatto la cosa giusta a mantenere la situazione inalterata?
"Abbiamo fatto una scelta. Ora la nostra azione si focalizzerà sul riattivare in modo sostenibile il ciclo del credito. Il piano si propone di erogare in tre anni 180 miliardi di nuova finanza, 100 solo in Italia: 40 alle famiglie, 60 alle imprese".
Siete la banca con il più alto livello di crediti deteriorati (80 miliardi). Quale sarà la terapia?
"Nei prossimi tre anni ridurremo i nostri crediti problematici di 31 miliardi. Abbiamo già fatto accantonamenti cospicui e oggi possiamo contare su una copertura dei crediti tra le più alte. Per quanto riguarda i nuovi finanziamenti, parlerei innanzitutto delle famiglie. Nei primi 11 mesi del 2015 Unicredit ha erogato in Italia 3,3 miliardi sostenendo oltre 30 mila famiglie nell’acquisto della casa. L’obiettivo 2018 è di assistere 250 mila famiglie nell’acquisto della casa".
Le imprese sostengono di essere trascurate dalle banche. Come risponde Unicredit?
"L’indebitamento bancario delle imprese italiane si attesta al 64% e addirittura al 95% per le pmi (è al 29% negli Usa, al 30% in Inghilterra e in media al 45% in Europa), Unicredit si propone di andare oltre il credito tradizionale, promuovendo strumenti e strategie alternativi per diversificare le fonti di finanziamento. Ad esempio, stiamo spingendo il credito alle filiere attraverso il cosiddetto reverse factoring: le aziende capofiliera hanno a loro disposizione un servizio che rende possibile offrire ai fornitori lo smobilizzo per cessione del credito delle fatture. Grazie a questo strumento, abbiamo già erogato in Italia 1 miliardo a 6 mila imprese. Abbiamo inoltre strutturato il bond Italia, un finanziamento in cui la banca anticipa l’intervento del Fondo centrale di garanzia, con benefici per le imprese sia sul versante del prezzo che dell’accesso al credito. Per le imprese più piccole metteremo quanto prima sul mercato il minibond Italia".
La svolta digitale è il futuro, ma in alcune aree il cliente vuole entrare in filiale.
"La clientela oggi ha nuovi bisogni e cerca soluzioni innovative. Usa internet, i tablet e gli smartphone. Da noi l’85% delle operazioni avviene proprio su questi mezzi, vogliamo arrivare al 90%. L’uso dei big data ci consente di analizzare tutte le informazioni che riguardano la nostra clientela. Aumenteremo i clienti online da 9 a 16 milioni e quelli mobile da 3 a 11,5 milioni; faremo crescere al 25% le vendite sui canali digitali per i prodotti bancari di base. Infine, miglioreremo anche i processi creditizi, automatizzandoli e accorciando i tempi di approvazione dalle attuali 48 ore a pochi minuti".
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