Islanda, viaggio alle origini della Terra

Islanda, viaggio alle origini della Terra
di Carlos Solito
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Domenica 1 Marzo 2015, 19:28 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 17:13

Chissà come poteva essere il nostro pianeta all'inizio della creazione. Chissà! Bene, a nord, nel nord più profondo, ci sta un'isola dove la cottura della ricetta Gaia è tutt'ora in corso. Una vera pentola nella quale bolle un minestrone di geologia che crea, crea e crea. Se qualcuno volesse avere idea di come la Terra fosse nelle epoche primeve, deve volare in Islanda.

Feroce, aspra, dura e soprattutto affascinante dove gli antipodi si accostano, come fuoco e acqua, vulcani e ghiacciai, per farne uno dei paradisi del trekking di tutto il mondo. Da camminare, e soprattutto da esplorare, qui ce n'è per una vita. Ma volendo assaggiare la wilderness islandese in una settimana, la soluzione migliore è quella di restare nei paraggi di Rejkyavik, nella porzione sudoccidentale dell'isola. Fuori dalla capitale, che vale soprattutto per il runtur (giro) tra bar e pub nella cornice del bel centro antico e moderno, si punta subito a sud per la penisola di Reykjanes dove, in un nerissimo campo lavico, si trova la famosa Laguna Blu (www.bluelagoon.is).

Sembra un paesaggio surreale, la scenografia di un film hollywoodiano. A est di Rejkyavik si raggiungono le nostre mete del trekking, comode e adatte alle famiglie. Si tratta di brevissimi itinerari che toccano alcuni degli aspetti naturalistici e paesaggistici più “tipici” d'Islanda in quell'area nota come “il circolo d'oro”, collegata alla capitale con numerose corse di autobus.

Primo fra tutti è il Parco Nazionale di Pingvellir (www.thingvellir.is) con una teoria di crepacci lavici, dovuti a spinte tettoniche profondissme, tra i quali si tuffano fragorose cascate.

Patrimonio Mondiale dell'Umanità il sito è noto anche perché fu qui che nel 930 d.C. si riunì per la prima volta il parlamento islandese (l'Alping). Passando per il villaggio di Laugarvatn si arriva a Geyser il cui nome è stato utilizzato, in tutto il mondo, per indicare il fenomeno di espulsione di colonne d'acqua ad alta temperatura dal sottosuolo. Nell'omonimo parco un sentiero, intervallato a passerelle in legno, passa per pozze fumanti dai colori azzurri - per via di alghe e depositi minerali - fino ad arrivare al cospetto del grande getto d'acqua di Strokkur alto oltre trenta metri. La sua attività ha una cadenza di dieci minuti: c'è tutto il tempo per piazzare una camera e fare le fotografie di rito.

A due passi si trova un'altra delle emergenze naturalistiche più importanti dell'isola: la colossale cascata di Gullfoss generata dal fiume Hvita (Bianco) in seguito alla caduta profonda 32 metri in un canyon avvolto da nuvole di acqua. Verso sud, prima di chiudere l'anello dell'itinerario, meritano una sosta, la cascata di Selfoss ed Hella con i suoi interminabili campi lavici e brughiere dove pascolano gli autoctoni cavalli islandesi.

IL CRATERE

A nord invece, per chiunque ami la science fiction di Jules Verne, c'è il cratere dello Snaefel sepolto sotto milioni di metri cubi di ghiaccio adagiato nel corso dei millenni attraverso una compressa stratificazione delle nevi accumulate e mai sciolte. Anche all'epoca della stesura di Viaggio al Centro della Terra, nel 1864, lo scenario del vulcano non doveva essere poi così tanto differente da oggi e la descrizione della voragine del cratere Scartaris è uno dei passi più entusiasmanti dello scrittore francese: «Il cratere dello Snaeffels era a forma di cono rovesciato la cui bocca poteva avere mezza lega di diametro. Ritenevo che la sua profondità si aggirasse intorno ai duemila piedi. Si giudichi lo stato di un simile cratere quando si riempiva di tuoni e di fiamme».

Arrivarci vuol dire attraversare l'omonima penisola passando per lo sterminato campo lavico di Budahraun, rigurgitato dal cratere del Budaklettur, dove vale la pena dare un'occhiata al piccolo villaggio di pescatori di Budi, ormai abbandonato e popolato solo da sterne artiche. Da Olafsvik seguendo la 574 si costeggiano antiche fiskbyrgi (capanne in pietra per l'essiccazione del pesce costruite nel medioevo dagli antichi pescatori vichingi) e si punta diritto nel vasto plateau di magma impietrito sotto il versante occidentale del vulcano. Visti da qui i fianchi del gigante sono davvero vasti, martoriati da graffi e tagli inferti nelle carni di lava dagli artigli del ghiacciaio durante le lenta ritirata che continua ancora tutt'oggi, lenta e inesorabile a suon di crepacci.

Salire sul vulcano, vuol dire scalare una calotta glaciale a suon di ramponi e picozza per qualche ora. La vetta, il picco Jokullpufur (1446 metri, scalati per la prima volta nel lontano 1754), assieme ad altre guglie sparse, è ciò che resta delle pareti dell'antico cratere dilaniato, migliaia di anni fa, dall'ultima violenta eruzione avvenuta sotto la calotta dello Snafelsjokull. I panorami da lassù contengono paesaggi a perdita con crateri dappertutto: Geldingafell, Stapafell, Durfell, Findfell, Sandkulur, Eldborg. Più lontano Axlarhyrna, dal perfetto profilo conico.

Non c'è tempo umano qui. Ogni cosa è lena geologica. In basso, poi, il mare cinerino caro a megattere, balene minori, balenottere azzurre, delfini e orche. A nord il Breidafiordur pullula di isole dalle curiose formazioni basaltiche. 260 chilometri a nordovest c'è la Groenlandia, il secondo ghiacciaio più grande al mondo (dopo l'Antartide). Il terzo (nonché il più vasto d'Europa), invece, si trova nel sudest dell'Islanda: il Vatnajokull con 8.400 chilometri quadrati. Qua è là, in giro per l'isola, si trovano altre calotte come il Drangajokull nel nordovest, Myrdalsjokull nel sudovest, Langjokull e Hofsjokull nell'entroterra.