Albert Schweitzer, l'uomo eccezionale
che portò la medicina in Africa

Albert Schweitzer, l'uomo eccezionale che portò la medicina in Africa
di Massimo Di Forti
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Giovedì 27 Agosto 2015, 13:10
Era troppo. Filosofo, teologo, musicista, medico (le sue quattro lauree), ma anche muratore, carpentiere, architetto, costruttore di barche, dentista, idraulico, meccanico, farmacista, giardiniere, zoologo, veterinario. Un uomo universale nel senso in cui lo furono Leonardo, Goethe e pochi altri. Albert Schweitzer - scomparso a 90 anni il 4 settembre di mezzo secolo fa, dopo una vita leggendaria - fu per Einstein «il più grande essere umano del XX secolo». Nel ’52 gli dettero il Nobel per la pace ma nel suo caso era persino poco, se si riflette sul complesso delle sue opere, profonde, originali, rivoluzionarie, in ogni campo, dalla filosofia alla musica e alla teologia. Fu il più grande organista del suo tempo e la massima autorità al mondo nella costruzione di organi.



Con una scrittura che ancor oggi mantiene un raro splendore, Schweitzer è stato autore di un’insuperata biografia di Bach, di una altrettanto celebrata di Goethe (di cui ammirava «l’unione di lavoro materiale e di attività intellettuale»: «mi impressionò profondamente il fatto che per questo gigante degli intellettuali non esistesse alcun lavoro troppo umile per la sua dignità»), un libro su Gesù in odore di eresia (contestava il Gesù storico per affermarne lo spirito eterno che giungendo «negli spiriti degli uomini lotta per una nuova norma di vita»), uno sull’amatissimo Paolo apostolo delle genti, di uno studio magistrale sui grandi pensatori indiani e di storici appelli contro gli esperimenti atomici. La summa del suo pensiero, comunque, fu il principio del “rispetto per la vita”, che lo vede precursore indiscusso dei movimenti ambientalista e animalista e del suoi protagonisti, da Fritjof Capra a Peter Singer.



Fu uno choc planetario l’annuncio dato all’inizio del ’900 dal teologo protestante di lasciare la gloria e l’Europa per recarsi come medico in Africa. Nel 1913, trentottenne, partiva da Gunsbach con la moglie Hélène Blesslau, sposata l’anno prima, per Lambaréné nel Gabon dove avrebbe costruito con le sue mani un ospedale di legno.



John Gunther, il più famoso giornalista e inviato degli anni 30-60, chiese nel ’53 a Schweitzer le ragioni di quelle scelte. Perché l’Africa? Perché era rimasto sconvolto dalla statua di un nero in catene alla base di un monumento di Bartholdi, l’autore della statua della Libertà. Perché come medico? Perché era stanco delle parole e voleva passare ai fatti. Perché Lambaréné? Perché era un luogo inaccessibile e pericoloso e non c’era un solo medico in tutta la zona. Avrebbe dovuto aggiungere, le Grand Docteur, che l’incredibile impresa era la sua risposta all’appello di Cristo («Chi vorrà salvare la sua vita la perderà, colui che avrà perduto la vita la troverà...») e di dare, con l’amore, un senso alla nostra esistenza.



Il principio del rispetto della vita fu il culmine teorico e pratico di questa sfida, oggi più che mai attuale. Era nato quando Albert aveva poco più di sette anni, un suo amico lo aveva invitato a colpire con le fionde gli uccelli ed egli aveva accettato per non essere schernito ripromettendosi di mancare il colpo ma rimase bloccato al momento del tiro dal suono delle campane della chiesa. Fu «una voce dal cielo». Albert disperse gli uccelli, scappò a casa e da allora conservò «nel profondo del cuore il comandamento: Tu non ucciderai». L’etica del rispetto per la vita è oggi la più alta ispirazione per ambientalisti e animalisti (ma alcuni non lo sanno) del mondo intero: «Un uomo è morale soltanto quando considera la vita sacra come tale, quella delle piante e degli animali altrettanto di quella dei suoi simili». Che rivoluzione, se venisse accettata. Fa onore all’ultimo Cortona Mix Festival aver ricordato Schweitzer con un concerto delle sue musiche.Come tutti i Grandi, Schweitzer è stato osannato e anche criticato. Era inevitabile, con quei meriti. Troppi per farli accettare alla mediocrità. E poi che ne sa, la mediocrità, della carità e dell’amore? Le accuse erano soprattutto volte alle condizioni igieniche dell’ospedale e al rifiuto di ammodernarlo, di farlo più occidentale. Neppure Gunther si sottrasse al coro. Nonostante la grande ammirazione per il dottore («Ha salvato migliaia di vite») e l’ammissione che il livello della chirurgia fosse «molto elevato», non riusciva ad accettare che gli animali e gli abitanti potessero aggirarsi in un luogo di cura tra rifiuti e «impianti sanitari pittoreschi». Ma c’era, sicuramente, una difficoltà di intendersi. Schweitzer non voleva (e i suoi critici non lo capivano) imporre agli africani condizioni a loro estranee, preoccupandosi invece di farli sentire a casa propria. Lo scrisse all’Abbé Pierre, suo fraterno amico (che lo capiva, eccome): «Questo non è un ospedale, è un villaggio dove si cura e si guarisce. So che non è moderno, ma è più che moderno, è umano». Oggi Lambaréné è una cittadina di oltre 25.000 abitanti. L’ospedale cura 50.000 persone all’anno.

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