Virna Lisi, la donna/ Usciva da una torta, me ne innamorai

di Carlo Vanzina
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Giovedì 18 Dicembre 2014, 22:11 - Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre, 00:21
Nel buio del cinema Barberini m’innamorai della donna più bella del mondo: Virna Lisi. Usciva da una torta.



Coperta da un bikini a fiori, davanti a un Jack Lemmon colpito al cuore. E io con lui.



Avevo quattordici anni e mai avrei immaginato che circa vent’anni dopo Virna sarebbe stata la protagonista di un mio film. Ricordo ancora la prima volta che la incontrai nello studio della nostra comune agente Carol Levi. Per il ruolo di Adriana in “Sapore di Mare” avevamo pensato in prima battuta d’interpellare Catherine Spaak. Ma la Spaak rifiutò e Carol mi propose Virna Lisi. Io pensai che Virna era un’attrice troppo importante per accettare di farsi dirigere da un giovane regista. Lei veniva da “Signore e Signori” di Pietro Germi, da “La Cicala” di Alberto Lattuada, io avevo fatto “I Fichissimi” ed “Eccezziunale veramente”, film di grande successo ma nazionalpopolari. Lei aveva lavorato con Frank Sinatra, Tony Curtis, io con Jerry Calà e Diego Abatantuono in versione “terrunciello”. Eppure Virna accettò. Chi la convinse fu il suo adorato figlio Corrado, l’amore della sua vita insieme al marito Franco Pesci. Corrado, allora poco più che ventenne, si divertì a leggere quel copione e consigliò alla madre di partecipare al progetto. Arrivò il primo giorno di riprese. La scena prevista per il primo ciak si svolgeva in un cinema all’aperto, la classica arena degli Anni 60. C’erano tutti i protagonisti, Jerry Calà, Christian De Sica, Isabella Ferrari, Virna e il ragazzino del quale lei si doveva innamorare nel film, di nome Gianni Ansaldi. Quando le presentai il giovane attore, lei sbiancò. Mi convocò nel suo camerino e disse che non poteva innamorarsi di quel ragazzino così goffo. In poche ore, insieme a mio fratello Enrico, cambiammo il senso di quel rapporto, da carnale a comicamente platonico. Virna per quel ruolo vinse il David di Donatello e il Nastro d’Argento. Con quel cambiamento, richiesto da lei, il film acquistò tantissimo. Insomma fu in parte anche lei artefice del grande successo.



Virna era una vera diva, ma nel senso migliore della parola: aveva solo le qualità della diva e non i difetti. Era puntuale, professionale, ma non faceva capricci. Aveva il rigore dell’attrice cresciuta ad Hollywood. Ma di hollywoodiano aveva solo quello. Non amava il glamour dei cocktail party, mettersi in mostra. Virna preferiva una vita “normale”, con i suoi Franco e Corrado. Virna era soprattutto di una bellezza esagerata. Lineamenti perfetti, corpo statuario. Eppure, quella bellezza, mi confessò una volta, per lei era ingombrante. Tanto è vero che i ruoli che le hanno dato più soddisfazione furono quelli di due “brutte”, la sorella di Nietzsche per Liliana Cavani e la Regina Margot per Chéreau.



La mia amicizia con Virna continuò anche al di fuori del set. Avevamo amici comuni e passammo tante estati e tanti inverni insieme. Più tardi, i suoi nipoti finirono in classe con le mie figlie. Quasi come se la volontà del destino avesse voluto unirci attraverso gli anni. Ora che non c’è più mi sento più solo. Come amico e come spettatore.